sabato 7 dicembre 2013

La Ciclabile di Sanremo: bagnarsi due volte nello stesso mare

di Giulia Cocchella

Tornare due volte nello stesso luogo, bagnarsi due volte nello stesso fiume, direbbe qualcun altro, non è cosa possibile. Così la ciclabile di Sanremo mi è parsa diversa, a due anni di distanza: i suoi scorci, le terrazze sul mare, persino le gallerie. E se ciò che abbiamo già visto non ci sembra uguale a prima, è ancora più vero che ritornare apre lo sguardo, lo allarga a comprendere particolari nuovi, che proprio ci erano sfuggiti.
Subito a sinistra della prima galleria, per esempio, c'è una piccola stradina di ghiaia che due anni fa non avevo percorso. Una rastrelliera verde invita a legare la bicicletta e proseguire a piedi, ma decido di portarla con me.






L'orizzonte basso e soleggiato, più avanti, lascia supporre un panorama d'aria e di mare, che è davvero lì a pochi passi, ma il vento scuote forte le mie mani e quasi mi impedisce di fare foto.






 è bella la ciclabile di Sanremo, di un fascino tutto suo, non dirompente, non compatto, ma disteso lungo i ventiquattro chilometri che da San Lorenzo portano a Ospedaletti. è la ciclovia più lunga che abbiamo in Liguria e se volete potete aggiungere qualche giro di ruota in più, una decina di chilometri circa, scendendo alla stazione di Diano e percorrendo l' "Incompiuta", una ciclo-pedonale che conoscono in pochi e che permette di raggiungere Imperia senza fare salite e guardando solo il mare, senza preoccuparvi del traffico.
Da Imperia, San Lorenzo è poco distante.
Si diceva all'inizio che proprio non ci è dato di fare due bagni nello stesso fiume, o nello stesso mare; così scriveva Eraclito, filosofo da magneti da frigo, oramai, ma che in realtà in vita fu misconosciuto perché parlava per oracoli e nessuno ci capiva un tubo. Non che lui desiderasse essere compreso. Trattandosi di un aristocratico, discendente del tiranno di Atene, pur allontanando da sé titoli e privilegi, non si esimeva dal disprezzare il prossimo.
Eraclito lo snob, diremmo adesso; Eraclito l'Oscuro, il Malinconico, lo chiamavano i suoi consecolani (VI a.C., anno di nascita incerto).
Quello che mi interessa di più è che anche lui è nato davanti al mare - Efeso, costa ionica - e se provo ad immaginarmelo quel mare, che deve pur avergli ispirato qualche pensiero, me lo immagino come questo.




Santo Stefano, Riva Ligure, Arma di Taggia, Bussana si susseguono senza variare di molto il panorama alla vostra sinistra - mare e ancora mare, a perdita d'occhio - e nemmeno quello alla vostra destra, più o meno verde, interrotto qua e là da case, orti di fiori, serre in uso e serre dismesse.
C'è una chiesa, a un certo punto, proprio sopra alla ciclovia, che merita una deviazione non fosse che per il piccolo giardino che la circonda e per l'ulivo che affianca il campanile.






Proseguendo ancora si incontra una terrazza panoramica in cui un locale che affaccia sul mare mette a disposizione delle originali rastrelliere montate su grosse bobine di recupero (e offre anche un caffè pessimo, che però la vista paradisiaca vi farà dimenticare). Se arrivati a questo punto aveste accidentalmente forato una gomma, un distributore automatico di camere d'aria vi porterà soccorso.




Per tornare a Eraclito, a un certo punto della vita, disgustato dai suoi compaesani e dal governo, portò via la sua saggezza e incominciò a vivere da eremita. Trascorreva le giornate a scrivere La natura (il cui testo era così limpido e la punteggiatura così curata che gli valsero il soprannome "l' Oscuro") e a nutrirsi di erbe e frutti spontanei che alla lunga gli procurarono qualche problema serio di salute. Però Eraclito era lucidissimo, magari altezzoso, magari cinico, burbero, malnutrito, ma assolutamente convinto delle sue idee sul mondo. "La più bella delle trame", se ne usciva a un certo punto, "viene formata dagli opposti, e tutte le cose sorgono secondo contesa". Oppure: "Tutte le cose sono un baratto in cambio del fuoco", elemento per eccellenza della trasformazione.
Mi guardo attorno: piante, fiori, foglie che adesso sono gialle e domani avranno ancora un altro colore, due ragazzi abbagliati dal sole, un dattero che un attimo fa era attaccato alla palma e ora è cibo tra le zampette di un topo.







Tutto scorre, anche se il sole d'inverno ha quella luce immobile che fa pensare che il giorno si sia fermato, che d'ora in poi saranno le quattro del pomeriggio per sempre.




Tutto scorre: scorre il panorama al ritmo del pedale, scorrono il giorno, le stagioni, le nostre stagioni.
Mi porto a casa una particolare nostalgia, che a pensarci bene è una parola greca, letteralmente il dolore del ritorno, il desiderio malinconico di ritrovare cose che si sono perdute.
Esiste il ritorno? è davvero possibile ritornare in un luogo, in uno stato dell'anima?
Non una volta, non due, non cento: nasciamo nuovi ogni giorno.










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