martedì 10 dicembre 2013

Pedalando da Soul Kitchen

di Giulia Cocchella

Cibi e bici. Al primo sguardo solo un' inversione di sillabe.
Ma chiediamocelo: che rapporto c'è tra ciò che mangiamo e il mezzo che usiamo per spostarci?
La sto prendendo da lontano, ma il punto è che io e Ilaria, che siamo vegetariane, abbiamo deliberato di scorazzare in bicicletta per il centro di Genova e censire tutti quei ristoranti attenti alle esigenze di chi ha deciso di escludere dalla propria alimentazione carne e pesce.
Cosa c'entra con la bici, chiedete?
Intanto si tratta in entrambi i casi di una scelta, che per definizione comporta l'esclusione di altre possibilità, almeno nel momento in cui la esercitiamo. E poi credo che la questione fondamentale sia questa: coloro che scelgono la bicicletta - cioè un mezzo a zero emissioni di CO2 - e coloro che scelgono un'alimentazione vegetariana - cioè un modo di nutrirsi che vorrebbe limitare l'impatto dell'animale uomo sull'ecosistema - sanno e dimostrano di essere ospiti nel mondo al pari di tutti gli altri. Credo, in sostanza, che si tratti di due forme di rispetto, diverse e potenzialmente complementari, nonché di due valide pratiche di salute individuale.
Ma bando ai discorsi, è ora di cena!
Soul Kitchen ci piace perché ci piacciono le persone che ci lavorano. E poi perché si mangia benissimo, sempre.
Se arrivate in bicicletta, c'è un buon palo a cui legarla (sempre telaio e ruota davanti, mi raccomando) proprio lì vicino, appena arrivati in Piazza dell'Agnello.
Il menù non è esclusivamente vegetariano, ma riserva ogni volta un bel numero di piatti per chi non mangia carne e pesce. Qualche esempio? Il nostro pensiero va al tortino di melanzane, che ci è rimasto nel cuore e che invano Ilaria ha cercato di riprodurre a casa nei momenti di nostalgia gustativa; poi alle casarecce con broccoli, crescenza e nocciole, poi alla torta di mele e cardamomo...
La cucina, che rispetta le stagioni e i sapori liguri, l'ambiente caldo e accogliente, il pane fatto in casa, tutto vi fa venire voglia non dico di stravaccarvi, ma almeno di mettervi ben comodi sulla sedia e alzare il naso verso l'alto: mentre Ilaria mi elenca i suoi buoni propositi per l'anno nuovo, guardo estasiata (complice anche il vino) il lampadario fatto con le pentole e i paralumi scolapasta.
Volendo tralasciare tutte le argomentazioni di tipo antispecista, ecologista ed economico, sulle quali ciascuno può formarsi un'opinione propria, è un fatto che la dieta vegetariana fa bene alla salute.
Questo allegro piattino vegano

del quale non è rimasto nulla se non la fotografia e un dolce ricordo per le nostre papille, è ricco di proteine più facilmente assimilabili di quelle di origine animale.
Ci sono: orzo con le verdure, sushi vegetariano in alga nori, polpettine di ceci rotolate nel sesamo (buone!), polentine fritte da tuffare in salse piccanti e meno piccanti, tutte a base di verdure.
Parliamo un po' con Alessandro, prima di uscire: è lui lo chef che inventa i piatti veg, che ci svela con le sue creazioni le autentiche delizie del mondo vegetale, come dalla restrizione, per così dire, scaturisca la creatività.
Il si-è-sempre-fatto-così non è quasi mai un buon argomento, se stiamo parlando di cucina o di qualunque altra cosa, anzi è soltanto un contributo al trionfo del sistema dominante, sia esso ideologico o culinario. Ce n'è forse bisogno?
Siamo curiosi, non annoiamo le nostre papille! Siamo visionari, ebbri!
Pedaliamo, scardiniamo, smantelliamo le abitudini del palato e del pensiero!
Slegate le bici, ci rimettiamo in sella, parlando per un tratto di come sarebbe bello che Soul Kitchen fosse anche bike-friendly. Ma come si adotta una rastrelliera?
Dateci solo il tempo di raccogliere le informazioni necessarie e poi torniamo da voi, magari con una proposta e molto, molto appetito!
Grazie ai ragazzi di Soul Kitchen, per la consueta simpatia e per la disponibilità a raccontarci ricette!

sabato 7 dicembre 2013

La Ciclabile di Sanremo: bagnarsi due volte nello stesso mare

di Giulia Cocchella

Tornare due volte nello stesso luogo, bagnarsi due volte nello stesso fiume, direbbe qualcun altro, non è cosa possibile. Così la ciclabile di Sanremo mi è parsa diversa, a due anni di distanza: i suoi scorci, le terrazze sul mare, persino le gallerie. E se ciò che abbiamo già visto non ci sembra uguale a prima, è ancora più vero che ritornare apre lo sguardo, lo allarga a comprendere particolari nuovi, che proprio ci erano sfuggiti.
Subito a sinistra della prima galleria, per esempio, c'è una piccola stradina di ghiaia che due anni fa non avevo percorso. Una rastrelliera verde invita a legare la bicicletta e proseguire a piedi, ma decido di portarla con me.






L'orizzonte basso e soleggiato, più avanti, lascia supporre un panorama d'aria e di mare, che è davvero lì a pochi passi, ma il vento scuote forte le mie mani e quasi mi impedisce di fare foto.






 è bella la ciclabile di Sanremo, di un fascino tutto suo, non dirompente, non compatto, ma disteso lungo i ventiquattro chilometri che da San Lorenzo portano a Ospedaletti. è la ciclovia più lunga che abbiamo in Liguria e se volete potete aggiungere qualche giro di ruota in più, una decina di chilometri circa, scendendo alla stazione di Diano e percorrendo l' "Incompiuta", una ciclo-pedonale che conoscono in pochi e che permette di raggiungere Imperia senza fare salite e guardando solo il mare, senza preoccuparvi del traffico.
Da Imperia, San Lorenzo è poco distante.
Si diceva all'inizio che proprio non ci è dato di fare due bagni nello stesso fiume, o nello stesso mare; così scriveva Eraclito, filosofo da magneti da frigo, oramai, ma che in realtà in vita fu misconosciuto perché parlava per oracoli e nessuno ci capiva un tubo. Non che lui desiderasse essere compreso. Trattandosi di un aristocratico, discendente del tiranno di Atene, pur allontanando da sé titoli e privilegi, non si esimeva dal disprezzare il prossimo.
Eraclito lo snob, diremmo adesso; Eraclito l'Oscuro, il Malinconico, lo chiamavano i suoi consecolani (VI a.C., anno di nascita incerto).
Quello che mi interessa di più è che anche lui è nato davanti al mare - Efeso, costa ionica - e se provo ad immaginarmelo quel mare, che deve pur avergli ispirato qualche pensiero, me lo immagino come questo.




Santo Stefano, Riva Ligure, Arma di Taggia, Bussana si susseguono senza variare di molto il panorama alla vostra sinistra - mare e ancora mare, a perdita d'occhio - e nemmeno quello alla vostra destra, più o meno verde, interrotto qua e là da case, orti di fiori, serre in uso e serre dismesse.
C'è una chiesa, a un certo punto, proprio sopra alla ciclovia, che merita una deviazione non fosse che per il piccolo giardino che la circonda e per l'ulivo che affianca il campanile.






Proseguendo ancora si incontra una terrazza panoramica in cui un locale che affaccia sul mare mette a disposizione delle originali rastrelliere montate su grosse bobine di recupero (e offre anche un caffè pessimo, che però la vista paradisiaca vi farà dimenticare). Se arrivati a questo punto aveste accidentalmente forato una gomma, un distributore automatico di camere d'aria vi porterà soccorso.




Per tornare a Eraclito, a un certo punto della vita, disgustato dai suoi compaesani e dal governo, portò via la sua saggezza e incominciò a vivere da eremita. Trascorreva le giornate a scrivere La natura (il cui testo era così limpido e la punteggiatura così curata che gli valsero il soprannome "l' Oscuro") e a nutrirsi di erbe e frutti spontanei che alla lunga gli procurarono qualche problema serio di salute. Però Eraclito era lucidissimo, magari altezzoso, magari cinico, burbero, malnutrito, ma assolutamente convinto delle sue idee sul mondo. "La più bella delle trame", se ne usciva a un certo punto, "viene formata dagli opposti, e tutte le cose sorgono secondo contesa". Oppure: "Tutte le cose sono un baratto in cambio del fuoco", elemento per eccellenza della trasformazione.
Mi guardo attorno: piante, fiori, foglie che adesso sono gialle e domani avranno ancora un altro colore, due ragazzi abbagliati dal sole, un dattero che un attimo fa era attaccato alla palma e ora è cibo tra le zampette di un topo.







Tutto scorre, anche se il sole d'inverno ha quella luce immobile che fa pensare che il giorno si sia fermato, che d'ora in poi saranno le quattro del pomeriggio per sempre.




Tutto scorre: scorre il panorama al ritmo del pedale, scorrono il giorno, le stagioni, le nostre stagioni.
Mi porto a casa una particolare nostalgia, che a pensarci bene è una parola greca, letteralmente il dolore del ritorno, il desiderio malinconico di ritrovare cose che si sono perdute.
Esiste il ritorno? è davvero possibile ritornare in un luogo, in uno stato dell'anima?
Non una volta, non due, non cento: nasciamo nuovi ogni giorno.










lunedì 4 novembre 2013

Pedalando con Perec: la Ciclabile Arenzano - Varazze

(Ovvero: ricordo dell'ultima giornata di sole)

di Giulia Cocchella
A meno che non vi siate distratte a baciare con passione il capotreno, mancare la stazione di Arenzano è impossibile, ci sono le case panna e fragola che come un segnalibro dicono: il posto è questo. Slego la bici dal sostegno del vagone biciclette - spazio grigio, penso - e scendiamo.
Siamo io, la bici e Perec, stamattina. Ilaria non c'è, sta lavando casa perché sua madre, sensibile alla pulizia, stasera cala giù dal milanese a trovarla, cioè a controllare la carica batterica negli angoli della cucina.
Guardo il cielo terso tra i palazzi panna e fragola e penso a quando da bambina, passando da qui in treno per andare a Savona da mia nonna, osservavo queste strane case, bianche e rosa, immaginandomi l'odore delizioso che dovevano avere le facciate (spazio del sogno).
Si parte!
Il primo tratto di ciclabile che da Arenzano porta a Cogoleto inizia con una galleria, perché come quasi tutte le piste ciclabili liguri, anche questa è costruita sul percorso della vecchia ferrovia dismessa.
Spazio aperto, penso, mentre le ombre della ringhiera a lato mare diventano linee di fuga per il mio sguardo e per il pedale.



Perec non catalogava gli spazi per gioco, lo faceva con il preciso intento, parole sue, di esaurire un luogo, ridurlo ai minimi termini, scomporlo, nominarlo, fino a poter dire: questo luogo mi appartiene, lo conosco.
Ritrovo l'estate nel mio naso.
Spazio olfattivo.












Mi avvicino a Cogoleto, ma l'impressione è quella di essere su un'isola e pedalare sulla strada litoranea, completare il giro e riprenderlo, lungo il perimetro di un cerchio che si rinnova. L'occhio sinistro si inebria di azzurro e l'occhio destro di verde.





"Che significa impossessarsi di un luogo? A partire da quando un luogo diventa veramente vostro?" chiede Perec "Quando si sono messe in ammollo tre paia di calzini in un catino di plastica rosa? (...) Quando vi si sono provati i tormenti dell'attesa, o le esaltazioni della passione, o i supplizi del mal di denti?"
Quando lo si percorre in bicicletta? Quando si appoggia la bici alla ringhiera e ci si siede a leggere al sole?




Oltrepassata Cogoleto lungo la strada (qui la ciclabile si interrompe), raggiungo il secondo tratto che porta a Varazze: è il mio preferito.
I Piani d'Invrea sono uno spettacolo per gli occhi, una fortunata serie di piccole spiagge rocciose che si susseguono uno via l'altra, prima nere (spazio nero), poi bianche (spazio bianco). Inevitabile stupirsi di fronte a tanta ricchezza concentrata che vi fa venire voglia di abbandonare i vestiti e buttarvi in acqua nudi!





Mentre scatto qualche foto, un gatto mi si avvicina e incomincia a strofinarsi contro le mie gambe, poi contro le ruote della bicicletta: spazio d'un istante in cui tutto mi sembra felice (accade, a volte, di sentirsi così)



Proseguo fino a Varazze, poi torno indietro, poi ancora avanti fino alla fine della ciclovia e mentre pedalo provo a lasciare che il mare, i pini, gli scogli, il cielo, il transito di un gabbiano, tutto mi riempia gli occhi come fosse la prima volta. "Continuare. Finché il luogo diventi improbabile (...) fino a non capire più che cosa succeda e che cosa non succeda" mi insegna, ancora, Perec.
Provo, e a tratti lo trovo il mio primo sguardo sul mondo, anche se non sono sicura di riuscirci davvero, che il primo sguardo nessuno se lo ricorda, e se mai lo ricordiamo, allora, è già tardi per salvarne lo stupore.
Però forse qualcosa succede - spazio vergine, scoperta dello spazio - e quanto più pedalo, mi stanco, oltrepasso la soglia, tanto più quel primo incontro si avvicina, è a un soffio.


Primi passi fatti in riva al mare.
Primo contatto piede-acqua di mare: l'acqua è bagnata.
Il mare da bambina mi regalava dei sassi.
Primo cielo azzurro visto coi miei occhi.
Prime nuvole a forma di drago
Prima volta che provo a guardare dritto in faccia il sole: non resisto
Primo contatto piede-pedale della mia prima e sola bicicletta: pieghevole, con le rotelle, rossa, regalo di mia nonna di Savona.
Il cerchio si chiude.
" Vorrei che esistessero luoghi stabili, immobili, intangibili, mai toccati e quasi intoccabili, immutabili, radicati; luoghi che sarebbero punti di riferimento e di partenza, delle fonti (...)
I miei spazi sono fragili: il tempo li consumerà (...)
Scrivere: cercare meticolosamente di trattenere qualcosa, di far sopravvivere qualcosa: strappare qualche briciola precisa al vuoto che si scava"
Georges Perec, Specie di spazi




















venerdì 11 ottobre 2013

Una donna a pedali

di Giulia Cocchella

(Recensione bislacca di Ivan Illich, Elogio della bicicletta)



Ieri sera mi hanno rubato il motorino.
Ci ho impiegato un po' per convincermi, perché mi capita sempre di dimenticare dove lo parcheggio, di cercarlo inutilmente in un posto credendo di averlo lasciato lì, per poi trovarlo altrove (cosa che, a pensarci bene, non mi accade con la bici). Ma ieri sera no, ero sicura del parcheggio, e il motorino proprio non c'era. E non so come spiegarvelo senza correre il rischio di sembrare strana: io, ieri sera, di fronte a quel rettangolo d'asfalto con i contorni bianchi, ripulito come un piatto con la scarpetta, ho provato la stessa sensazione che regala un pesante zaino da montagna, un attimo dopo che ve lo siete tolto dalle spalle.
Per una coincidenza - se mai esistono, le coincidenze - avevo appena finito di leggere Illich, Elogio della bicicletta.
Mentre attendo che un carabiniere consideri il mio caso, osservo i quadretti appesi nella sala d'ingresso. Hanno lo stesso aspetto slavato dei bigliettini che si mettono nei confetti con scritto tiziocaio si è battezzato, comunicato, sposato, solo che al posto di Gesù e dei suoi apostoli c'è il Carabiniere. Il primo è intitolato Coraggioso intervento del Carabiniere e raffigura un gruppo di cavalli concitati con carrozza (un incidente? un cavallo abusivo?) su cui appunto interviene coraggioso il nostro. Mi chiedo perché Coraggioso e Carabiniere abbiano l'iniziale maiuscola e intervento no, quale regola governi l'uso delle maiuscole in caserma o se semplicemente esista una gerarchia tra consonanti e vocali sfavorevole alle seconde; poi osservo, subito accanto, la contadina e il Carabiniere a cavallo e mi si chiarisce tutto.
I cavalli, le carrozze... Ivan Illich lo ha scritto chiaramente: dopo la pensata della ruota, all'alba della civiltà, che ha consentito all' animale uomo di togliersi il fardello dalla schiena e spingerlo su una carriola, l'ideazione della staffa, che ha permesso all'animale uomo di mettersi in sella dell'animale cavallo, dopo l'invenzione del galeone, la quarta rivoluzione l'ha fatta il cuscinetto. Solo che il cuscinetto a sfere, beffardo, ci ha fatto due regali, per così dire: l'automobile e la bicicletta.
Mi richiamano all'ordine. Dichiaro tutto: luogo, da che ora a che ora, se ho dei sospetti no, colore, targa, immatricolato quando e dove etc. etc. cilindrata 125. Ecco, qui mi torna in mente Illich (che posso farci?) e mentre il Carabiniere scrive, Illich mi dice all'orecchio: meglio così, signorina, anzi si dovrebbe "affrontare sul piano politico il problema del wattaggio pro capite che la società deve porre come limite ai propri membri". Mi persuade, Illich. Mi persuade anche quando quantifica l'energia investita in veicoli negli Stati Uniti, "per fabbricarli, per farli muovere e per assicurare loro un diritto di passaggio", energia che "serve a spostare persone immobilizzate con delle cinghie", che magari stanno andando al lavoro per pagare le rate della macchina per andare a lavorare per...
Mi gira la testa. Il Carabiniere mi chiede se mi sento bene, forse pensa che io sia scossa dal furto mentre sto solo parlando di nascosto con Illich, che ora mi sta chiarendo la differenza tra libertà di movimento e presunto diritto alla propulsione. Per non dire poi delle ripercussioni a livello politico, sociale, ambientale di tutta la faccenda, continua, sa cosa le dico, signorina? mi chiede, l'ecologia non è uno stile di vita, è l'unica vita possibile.
Firmo, saluto tutti, il Carabiniere, la contadina e i cavalli abusivi.
Caro Illich, spero proprio che nessuno ritrovi la mia "capsula individuale di accelerazione", come la chiama lei, e credo che farò un vaso pensile con il mio casco, magari ci metto delle piante grasse o delle petunie che ricadono verso il basso e fanno colore.
Da oggi, col bello e il cattivo tempo, sono una donna a pedali.

Leggetelo:

Ivan Illich, Elogio della bicicletta. Bollati Boringhieri

domenica 29 settembre 2013

Una giornata uggiosa

di Ila
Vi devo confessare una cosa, un ossicino nel comò, tra i miei programmi tv preferiti c'è S.O.S. Tata - se volete smettere di leggere questo post, o questo blog, fatelo ora o mai più! - , e non perché abbia messo al mondo dei piccoli esserini  dalle dita appiccicose e la vocetta stridula che comunemente vengono chiamati bambini, ma perché  c'è Tata Lucia.  Io la adoro. Letteralmente. Un po' Signorina Rottermeier, un po' Mary Poppins, un po' Fata Madrina: perfetta insomma!!!  Mi piace quando bacchetta i genitori, più o meno debosciati, che non si accorgono di stare prendendo a picconate l'autostima dei loro figlioli, o che realizzano che, forse, non sarebbe poi così male iniziare a parlarsi, invece di emettere grugniti o simili; ma quello che più apprezzo  è il suo approccio alla vita, l'entusiasmo che trasmette. La passione! L'amore! Cosa sarebbe la vita senza passione?? Così, sul mio frigo, ho appeso una sua frase, tra gli orari della palestra di due anni fa, e dei versi di Morgan - che mi spampana gli ormoni.  Accostamento ardito, come il pecorino sui gamberoni, lo so. Comunque, la frase in questione è la seguente: la felicità è una buona abitudine che si apprende. Pe me ha perfettamente ragione. La felicità non è  uno stato di grazia che ci piomba addosso per un breve momento rendendoci euforici e maniacali ( e intollerabili per tutto il resto del mondo ) , e che, così come è arrivata, se ne va, lasciandoci tristi e soli come un chewingum appiccicato sotto una sedia. Essere felici è un esercizio, si impara ad esserlo, così come si impara ad andare in bicicletta o a sciare. Si impara a guardare ciò che ci accade in modo diverso, e non da un'unica prospettiva, che di solito è quella più negativa . Vi ricordate Pollyanna?? Si impara a godere delle piccole azioni, dei piccoli gesti, che magari presi singolarmente ci danno una piccola, minuscola gioia, ma che se sommati tutti insieme ne danno una davvero grande. Oggi il tempo è brutto, questo cielo plumbeo non aiuta a sentirsi felici - a meno che non siate stati tutto il giorno abbracciati alla persona che amate con le orecchie tese ad ascoltare il rumore della  pioggia sui tetti ( anche questo è un momento per scegliere di non leggere mai più questo blog) .Se, invece,  siete tra quelli depressi, meteoropatici, in sindrome premestruale, o semplicemente un poco tocchi e labili, ascoltatevi questa canzone che regala, secondo me, una briciola di felicità! Ascoltatela parecchie volte, toglietevi i vestiti e iniziate a ballare per casa. Si intitola La bicicletta, ed è di un gruppo romano che fa reggae, i Radici nel cemento. Io questo pomeriggio l'ho ballata e cantata a squarciagola per tutta la casa, ho smesso solo quando la mia gatta ha iniziato ad attaccarmi le gambe: non ama essere disturbata nelle sue attività pomeridiane. Nella mia testa però continuo a sentirla, anche ora che sto scrivendo. Eccola qui, solo per voi:
 
 
Allora, che ne dite? Non vi sentite già più felici? Non vi è venuta voglia di pedalare ( aspettate che la pioggia smetta di cadere!!! ) o di correre in giro per la vostra città in calzoncini e maglietta a dire a tutti quanto amate la vostra vita? O di chiamare vostra suocera? O la vostra compagna del liceo, quella che ha fatto sempre tutto prima di voi? E anche il vostro fidanzato non vi sembra più intelligente? Va bene, non esagero, questa canzone non fa miracoli, però mette allegria. Tanta.
 
E se vogliamo proprio sbulaccare, facciamo anche un esercizio: elenchiamo almeno cinque cose che oggi vi hanno resi felici! Così siamo sicuri di esserlo stati per certo!
Questo è il mio elenco:
  1. Non ho una malattia mortale -  almeno non mi è ancora  stata diagnosticata.
  2. La mia gatta ha impastato il pane sul mio maglione nero: mi ama! Io passerò dalle tre alle sei ore a spazzolarlo, il maglione, non la gatta, per levare tutti i suoi peli da lì, e non sembrare la gattara dei Simpson:  ma la mia gatta mi ama. Spero.
  3. La mia amica Anatomy ed io siamo state due ore al telefono a dire cattiverie e a fare ceti inutili su parecchie delle nostre conoscenze.
  4. Ho iniziato a leggere un altro libro di Edna O'Brien - leggete Ragazze di campagna!!!
  5. Stasera mi pappo tanta, tanta catalogna. Ognuno ha le proprie tare, e a me la catalogna  mi rende felice.
Su, su, fatelo anche voi un elenchino! E raccontatecelo, se vi va! Cosa vi rende felici?
   
Ah, dimenticavo:
 
      6. scrivere questo post!
 
 
Post scriptum: se qualcuno fra voi si chiedesse quale fosse la frase di Morgan, è questa: Ho deciso di perdermi nel mondo anche se sprofondo lascio che le cose mi portino altrove non importa dove. Da Canzoni dell'appartamento ( 2003 ),  Altrove.
 
 
 
 

giovedì 19 settembre 2013

Cestini, cestini, cestini...

di Ila


La verità è che una bicicletta senza il suo cestino non è una bicicletta. Escluderei le bici da corsa, quelle, forse, potrebbero starci senza cestino. Ma non sono sicura. Io lo metterei anche a loro. Il Giro d'Italia sarebbe certamente più coreografico con tutte quelle bici equipaggiate di cestini ricolmi di fiori, o erbe aromatiche, o cani e gatti. O baguette, se fosse il Tour de France! Tutte le mie vecchie bici ne avevano uno, di quelli in vimini, bianco o color miele. Fagiolina - la mia bici attuale - è nuda, non sono ancora riuscita a trovargliene uno. Primo, perché non è una vera bici, ma una pieghevole, e con quel manubrio lungo e stretto mica è facile; e poi, perché la Giuli appena sente parlare di cestino di vimini, magari con due o tre margheritine colorate a decorarlo, e una girandola che fa sempre simpatia, inizia a strabuzzare gli occhi, a tossicchiare come i vecchi che masticano tabacco e sputano, e a biascicare la parola portapacchi. Portapacchi, portapacchi, ti ci vuole un portapacchi!, dice. Intanto, la Giuli che sgrana gli occhi e bofonchia  non è un bello spettacolo, non fa venire voglia di darle retta, e poi, soprattutto, io non lo voglio un portapacchi, voglio un cestino! Il portapacchi non è poetico, né lezioso, né niente. Non lo è nel nome, P- O - R -T - A - P - A - C - C - H - I , che brutto suono, e neppure nella funzione, portare i pacchi appunto. Un bouquet di lavanda o di asparagina si spetascia ( termine milanese che significa si schiaccia - si rovina - e diventa una schifezza ) , ci vuole un cestino! Cosa ne sarebbe stato della Monella di Tinto Brass se avesse avuto un portapacchi? Non aveva neppure un cestino, direte voi! Se per questo non aveva neppure le mutande, dico io, ma era senza cestino e mutande per una questione di inquadrature dedicate, di regia insomma. Il portapacchi non l'aveva per una questione ideologica, smorza la passione, l'eros.
Monella o Giuli che sia, io, comunque, un cestino per Fagiolina lo voglio: rosa, verde, di vimini o di ferro, magari di stoffa, ma devo trovarlo!
Su e giù per la rete, e in giro per la nostra piccola e deliziosa Terra, ho scoperto che il cestino non passa mai di moda, e che ci sono  tanti altri come me che non posso proprio farne a meno, tsé! Anzi, tsé - tsé!! Se ne trovano di tutti i tipi e forme! Io sono per l'antico, sono sentimentale e mi piacciono Rossella O'Hara e Colazione da Tiffany, perciò il mio preferito resta il caro vecchio cestino di midollino intrecciato. Ma guardate un po' qua:
 
 
 
                                                           www.brooksengland.com
 
 
 
                                                                www.eleven81.com
 
 
                                      
                                                             www.houseoftalents.com
 
 
 
                                                               www.mioculture.com
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Fino ai più classici ed economici:
 
 
 

 
 
 E a qualche fiorellino per decorarli:
 
 


 
 
 
E se siete per il fai da te, prendete spunto da questo:
 
 
 
 
Bellissimo!!!
 
Io mi sa che per Fagiolina andrò sul classico, vimini o metallo, e poi tante, tante margheritine! E perché non una bella girandola!
 
E voi? Cosa vuol dire che non avete la bici? Prendetela! E iniziate dal cestino!!!!
 
 
Buona ricerca!!!




martedì 17 settembre 2013

Un campanello è per sempre

di Giulia Cocchella



Tra tutta la bigiotteria da bici che potete comprarvi – o farvi regalare dall’uomo a pedali del vostro cuore – il campanello è l’accessorio che riserva più soddisfazioni.
Tradizionale, oversize, a forma di cocomero, di contachilometri o di ratto, una volta che lo avrete fissato alla bici potrete andare in giro anche senza orecchini: l’eleganza è al vostro manubrio.
Sì perché, diciamolo, nel traffico cittadino il campanello è come un lemming in mezzo ai lupi artici (se proprio siete fortunati al vostro drin-drin si scansano i pedoni, quando non hanno le cuffie) perciò la sua funzione è soprattutto estetica.
Nel caso in cui non scegliate una tromba bitonale da passeggio (pure disponibile in commercio), aggressiva, riflessante naturale per chiunque si trovi nei paraggi, ma poco in linea con un mezzo di trasporto discreto e silenzioso quale la bicicletta, potrete optare per un campanello retrò.
Se poi la vostra bici è molto seriosa e desiderate stemperarla un po’, o anche se l’effetto d’insieme, ciclista più bici, risultasse, come a volte accade, troppo ammodo, niente sarà più efficace di un animale a sonagli. 


Al contrario, fossimo in presenza di un mezzo già personalizzato a dovere, magari in uno di quei giorni in cui il picco ovulatorio vi fa sentire irresistibilmente creative (insomma, per esemplificare, se vi ritrovate un telaio zebrato o fluo), potrete ingentilire l’effetto d’insieme con un campanello di gusto sobrio.

Ancora dubbi sulle potenzialità di questo accessorio?
Allora date uno sguardo alle proposte del sito www.miniinthebox.com
Troverete teiere per le nostalgiche dell’ora del tè, palloni da calcio per chi evidentemente ha sbagliato sport,
campanelli con bussola per pedalare sempre nella giusta direzione, o con il berretto anti-insolazione per le più ansiose.


 Se il traffico è molesto, il ciclista urbano deve dotarsi di strumenti di difesa…




…o quantomeno ostentare aggressività.
C’è poi chi della produzione artigianale di campanelli ha fatto un mestiere: è Annie Legroulx, che dal 2005, nel suo studio di Montreal, produce e commercializza le sue meravigliose creazioni dipinte a mano. Le vernici, ecologiche e prive di solventi e sostanze tossiche, sono in grado di resistere a tutte le condizioni meteo.






Anche una designer di San Pietroburgo, Yeka  Haksi, ha ideato una serie di campanelli originalissimi, per materiali e forme (ma non è chiaro se siano in vendita…)
Insomma, a voi la scelta. E se siete tra coloro che non sanno scegliere, compratene due, tre, sette: cambiate campanello in accordo con l’abito!
Persino il Codice della strada lo prescrive: un velocipede, per essere tale, deve avere due ruote, luci, catadiottri, freni e un campanello.
Ma voi non fatelo per obbligo, fatelo per amore.
E se il vostro amore è per sempre, regalatele un campanello.