lunedì 11 luglio 2022

Bolsena - Viterbo. Traguardando il mare

 di Giulia Cocchella

È deciso: questa è l'ultima tappa sulla Francigena. Un pochino ci dispiace non arrivare fino a Roma (i tempi ce lo consentirebbero), ma non siamo animati da ragioni devozionali e soprattutto incominciamo ad accusare il caldo e la fatica. Meglio ascoltare il proprio corpo!


Lasciamo Bolsena, ma non il suo lago, che anzi ci accompagna per un bel tratto.
Domina il lago anche Montefiascone, dalla cima di un colle.


Devo ammettere che Montefiascone mi è nota, fino a oggi, solo per il suo vino bianco Est! Est!! Est!!!, cui sono affezionata per sapore e per via della leggenda divertente che gli ha valso il nome. 
Nel 1111, al seguito dell'Imperatore di Germania Enrico V, giunse da queste parti il vescovo Johannes Defuk. Essendo un intenditore di vini, aveva l'abitudine di mandare in avanscoperta il suo coppiere perché gli segnalasse le osterie dove servivano buon vino. Se il coppiere ne trovava una degna di nota, scriveva sulla porta: Est! ("c'è": c'è del buon vino, qui). Arrivato a Montefiascone e degustato il vino locale, il coppiere lo trovò così buono che scrisse Est! Est!! Est!!! e il vescovo Defuk fu almeno altrettanto entusiasta di lui. Al ritorno dalla missione romana, infatti, si fermò qui per il resto della sua vita e morì per troppo vino.
È sepolto nella Basilica di San Flaviano.


Questa chiesa vale una visita. Attrae la nostra attenzione per il suo prospetto molto singolare, quasi un incrocio tra un edificio sacro e uno civile. Edificata in stile romanico nell'XI secolo, acquista una facciata gotica nel '300 e un ciclo di affreschi di scuola romana, toscana e umbra databili tra il '300 e il '500 circa.



Si trova in quello che per secoli è stato il punto di confluenza di diverse vie romee, quindi presumibilmente in un luogo in cui transitavano moltissimi pellegrini.



Ci attardiamo a visitare anche la chiesa superiore, godendo ancora un po' della penombra e del fresco. Poi ci inerpichiamo sul colle per vedere il resto. Prima di affrontare la ripida discesa, riempiamo le borracce nel giardino del belvedere.
Tra poco ci attendono due chilometri sulla Cassia Antica, molto suggestivi, tutti in basolato piuttosto ben conservato anche se assai sconnesso. Le lastre, stondate dal passaggio dei secoli, mettono a dura prova le nostre braccia, mentre procediamo in piedi sui pedali ogni volta che è possibile farlo.





Guadagniamo il centro di Viterbo passando per la sua periferia (ci eravamo dimenticati delle periferie), sostando prima all'ombra di un sottopassaggio per il troppo caldo.


Viterbo è carina, ma ormai siamo bene abituati e forse l'apprezziamo meno di quanto avremmo potuto se l'avessimo visitata a inizio viaggio.


Invece siamo alla fine, a quanto pare: una foto in Via dei pellegrini è meritata!
Ma a proposito... il pellegrino misterioso? Ogni tanto ci penso e mi pare di vederlo spuntare dietro un angolo. Poi è soltanto qualcuno che gli somiglia.


Dedichiamo il pomeriggio a passeggiare nel centro cittadino, ricchissimo di edifici medievali. 
Il Palazzo dei Papi ricorda con monumentalità i ventiquattro anni in cui Viterbo fu sede pontificia nel XIII secolo.




Il tempo di apporre l'ultimo timbrino sul passaporto e di prendere informazioni sui treni per Orbetello, poi è già l'ora di cercare un posto dove cenare.


Domani avremo i piedi nell'acqua e un ombrellone legato al portapacchi.


Domani ascolteremo la storia - non richiesta - di un misconosciuto cantante lirico e scopriremo che Orbetello è una specie di oasi in mezzo a una viabilità da autostrada.
Fede si inerpicherà sull'Argentario e io scoprirò che le spiagge sono lontane ma bellissime.
Vedremo anche un mulino a vento che galleggia sull'acqua e, da lontano, i fenicotteri.
Insomma, lasciata la via dei pellegrini per un'altra, come spesso accade con le deviazioni, potremo dire ancora una volta che ne è valsa la pena.






domenica 10 luglio 2022

Radicofani - Bolsena. Orizzonte d'acqua

   di Giulia Cocchella

La discesa da Radicofani è asfaltata per il primo chilometro, poi diventa uno sterrato abbastanza sconnesso e dalla pendenza a tratti molto decisa. C'è la possibilità, in alternativa, di rimanere sulla provinciale, ma scegliamo l'antica via Cassia, che promette panorami ancora più belli.




La tappa di oggi ci porterà a Bolsena, senza risparmiare sui colori - il giallo dei girasoli, l'oro del grano - e sulle contropendenze. Nessuno sconto nemmeno sulla temperatura, che risale non appena scendiamo dal borgo di Radicofani. 



Passiamo attraverso il centro storico di Proceno, al cui ingresso attende l'ormai consueta sagoma del viandante. Da questo bel borgo medievale inizia il tratto laziale della via Francigena. Appena fuori dal borgo, un banchetto di legno offre della frutta ai viandanti: ci si può servire e lasciare un'offerta libera nella cassetta rossa lì accanto. La somma raccolta, promette il cartello, verrà utilizzata per piantare nuovi alberi.



La discesa da Proceno ci fa perdere quota. Recuperiamo in salita verso Acquapendente - altro borgo di riferimento e passaggio per i pellegrini verso Roma - quindi proseguiamo in direzione Bolsena.
A sorpresa, si apre a un certo punto un orizzonte d'acqua, turchese. 
Compare proprio dritto davanti a noi, ortogonale alla strada che stiamo percorrendo, si spalanca come una finestra inaspettata, offre agli occhi un colore nuovo e insieme un'insolita aria di casa. 
Non è mare, anche se lo sembra. È il lago di Bolsena.


La strada ritorna a essere sterrata, contornata dai campi e dagli ulivi. L'orizzonte si mantiene azzurro, scintilla sotto il sole.



Appena arrivati, individuiamo senza difficoltà il nostro albergo: Bolsena è una città dalla pianta semplice, piuttosto ordinata, tutta protesa lungo i tre viali di accesso al lago. 
Una doccia, ci cambiamo e scendiamo verso il lungolago, seguendo un ampio viale alberato in morbida discesa. 
Tutti scendono al lago, o dal lago risalgono. Con la flemma - la sonnolenza, quasi - tipica di chi abita accanto all'acqua senza onde, o di chi vi trascorre una vacanza lunga, di giorni tutti uguali. 
Ci godiamo un gelato, passeggiando nelle pozze d'ombra formate dai platani secolari che fiancheggiano il viale. Il lago increspa alcune timide onde su una riva di terra e di sabbia, che spesso si fa erbosa.
Complice questa grande distesa d'acqua, incominciamo a propendere per la seconda variante della nostra vacanza: fermarci a Viterbo, quindi raggiungere la costa a Orbetello per qualche giorno di riposo al mare. È quello che faremo.
Cerchiamo un posto dove cenare e troviamo, in una piazzetta incastrata tra le case, un'osteria-pizzeria che esibisce il simbolo del pellegrino. Mangiamo bene - io chiudo con cantucci e vin santo - quindi raggiungiamo l'albergo. 









sabato 9 luglio 2022

San Quirico-Radicofani. La salita e i gruccioni

  di Giulia Cocchella

Questa mattina, dopo un'indimenticabile colazione, ci apprestiamo ad affrontare uno dei tratti più impegnativi, dal punto di vista altimetrico, di tutta la Via Francigena. 
Con la tappa di oggi arriviamo a Radicofani, passando per Bagno Vignoni, località termale, ancora frazione di San Quirico. 
Ci portano strade bianche con ripide pendenze in salita e in discesa, ma arrivati alla grande vasca di acqua curativa in Piazza delle Sorgenti sentiamo che ne è valsa la pena. 


La vasca, che risale al '500, è rettangolare, incorniciata per tutto il suo perimetro da bassi edifici in pietra chiara che si riflettono come sul bordo di uno specchio. Lungo tutto il lato interno del parapetto, a pelo d'acqua, anche le piante fiorite di cappero si moltiplicano nel loro riflesso.
Le acque poi si riversano nel Parco dei Mulini e alimentano quattro mulini medievali, scavati nella roccia. C'era un complesso sistema di canalizzazione dell'acqua, in parte ancora visibile. Ci attardiamo un po' attorno a questi piacevoli panorami, poi ci rimettiamo in sella.


Ci aspetta una trentina di chilometri per arrivare a Castiglione d'Orcia, proseguire con molti saliscendi e infine affrontare la salita per Radicofani.
Il panorama di oggi conserva la bellezza di ieri - le crete senesi in lontananza - ma è più brullo, asciugato dal sole e privo di esseri umani. Fatta eccezione per noi.


La salita per Radicofani è implacabile. Il caldo torrido (il termometro del gps segna 38 gradi), insieme al peso delle borse (che è modesto, ma si avverte subito appena la strada si arrampica dritta), ci appesantiscono le gambe. Andiamo su lenti, facciamo una sosta all'ombra, poi l'ombra scompare per chilometri e l'unica consolazione è un canto dolce, quasi un gorgoglio, che mi ricorda un fischietto ad acqua che avevo quand'ero bambina. Viene dall'alto.
Alzo lo sguardo e mi accorgo che ci stanno accompagnando i gruccioni.
Sono tanti, volano vivaci sopra le nostre teste: controsole sono sagome scure, ma quando volteggiano la luce restituisce loro i colori, blu e verde brillante. Si vedono a tratti i becchi appena ricurvi, a tratti il profilo delle singole piume, mentre fanno capriole nell'aria immobile del mezzogiorno.
Quando arriviamo in cima alla salita, il borgo di Radicofani sembra una rocca di montagna; poi distinguiamo le singole case, il campanile, la torre.


Ci fermiamo subito a mangiare. Qui il pecorino è il re dei formaggi: più e meno stagionato, con tartufo, peperoncino... mi tocca assaggiarli tutti!


Trovata una sistemazione per la notte, facciamo una doccia e ci prendiamo tutto il pomeriggio di riposo.


Radicofani regala scorci magnifici di case e piazze fiorite di geranei.


Nella Chiesa di San Pietro e in quella di Sant'Agata, patrona del paese, troviamo alcune magnifiche terrecotte invetriate della scuola dei Della Robbia.
In particolare, il dossale d'altare di Sant'Agata, opera di Andrea Della Robbia databile al 1500 circa, incanta per delicatezza e grazia.





Aggiungiamo un timbrino al nostro passaporto, poi con la flemma di due paesani navigati, facciamo la spesa all'unico alimentari disponibile. 




Stasera si cena sul terrazzino, vista tetti. Quando cala il sole, l'aria è quasi fresca.










venerdì 8 luglio 2022

Siena-San Quirico d'Orcia. Crete senesi

  di Giulia Cocchella


Il territorio a sud-est della città di Siena è un susseguirsi di campi di girasoli e di grano. 
Con la tappa di oggi attraversiamo le cosiddette Crete Senesi: una terra argillosa, appunto, che contiene salgemma e gesso, e che si offre nuda alla vista, poi in caduta libera nei calanchi e nelle biancane. 
È uno spettacolo di rara bellezza, esaltante ora per i colori accesi, ora per i profili quasi lunari dell'orizzonte. 

Immagino che questi siano panorami dotati di una speciale attitudine al cambiamento: oggi li vediamo quasi argentei nella loro arsura, dorati di grano e gialli di girasoli, ma domani, quando sarà autunno, cambieranno i loro colori dominanti, per poi mutarli ancora una volta, in primavera. Vale per tutti i paesaggi, ma credo ce ne siano alcuni - come questi - per i quali il cambiamento atmosferico e il susseguirsi delle stagioni sono più rivoluzionari. Sono i soggetti per cui Monet aveva un fiuto straordinario.
Quando ci fermiamo a fare una foto, penso che forse questa speciale qualità deriva loro dal fatto che si offrono al cielo completamente nudi, per decine e decine di chilometri di orizzonte ininterrotto: che sia da un albero o da anima viva. 

La strada di oggi, se ancora non fosse chiaro, è un crescendo di meraviglia.
Le tipiche strade bianche di queste zone sono quelle dell'Eroica: per un tratto, il nostro percorso coincide.



Incominciamo con un campo letteralmente ricoperto di balle di fieno, il cui movimento apparente accompagna circolare il nostro pedalare rotondo.




Poi, quasi con spavalderia, lo spettacolo muta: è il turno dei girasoli



Non riesco a smettere di guardarli e di fotografarli.
Ci accompagneranno per chilometri. 



Siamo ubriachi di giallo, ci sentiamo vivaci e leggeri.
A ruota, segue l'oro chiaro del grano appena tagliato.


Qui il fieno è pressato in balle quadre, che diventano lingotti.
Il campo mostra i segni del passaggio della mietitrebbia, le righe di un velluto.


Una piacevole discesa, sorvegliata da due file di cipressi, porta a un'altra croce di Passione, con un galletto di ferro appollaiato sulla sommità. Ai piedi della croce, i frammenti suggestivi di un'iscrizione scolpita nella pietra: God bless you, dove a bless corrisponde il disegno di un piede. Siano benedetti i nostri passi, mi piace leggerla così, come un inno di gratitudine al cammino.




Il vento spettina i girasoli e all'ombra di un tiglio, sotto il quale ci fermiamo a mangiare, assistiamo alla picchiata di un falco.

I girasoli sono sostituiti dagli ulivi, poi di nuovo dalle viti (questa è la terra del Brunello) in un alternarsi di sfumature di verde, sotto un cielo che sfilaccia lento le sue nuvole, cambia loro la forma. 





Niente resta uguale, tutto muta con lentezza, lasciandoci il tempo di guardare.



Passiamo Isola d'Arbia, Monteroni d'Arbia, Ponte d'Arbia, tutte località che prendono il nome dal fiume che scorre qui vicino, ma il vero spettacolo è quello offerto dalla natura: i paesi e le cittadine sono in tono minore, rispetto all'immensità che le circonda. Lo sguardo spazia in tutte le direzioni finché l'orizzonte è così lontano da sbiadire i contorni delle cose.


A Torrenieri, frazione di Montalcino, un'iscrizione si rivolge direttamente al viandante. 
A te che forse arrivi da oltre frontiera - è scritto - benvenuto nel comune di Montalcino. Questo è il castello della ex torre nera - continua - dove sostavano l'imperatore, il pellegrino e la bella castellana. Con gentile maniera, dava ristoro con prosciutto, cacio, uova e del buon vino novello... Poco più avanti si nominano Boccaccio e l'Alighieri, ma il tempo ha consumato le parole in mezzo. A firmarsi è il "cordialmente tuo" Ciacci Mario.


Un'altra epigrafe ricorda la sosta - era il 2 marzo 1452 - della bella principessa Eleonora (d'Aragona), che arrivò dal Portogallo con 130 carrozze e 40 dame. Era diretta a Roma per sposarsi con Federico III d'Asburgo. I due promessi sposi si erano incontrati per la prima volta qualche giorno prima, a Siena. Pare si fossero  piaciuti, anche se ai tempi non si badava un granché a queste faccende.

Morbidi tornanti, prima in salita, poi in discesa, poi di nuovo in salita, conducono a San Quirico d'Orcia.

Qui alloggiamo in un posto delizioso, L'Antica Sosta, b&b che prende il nome e i muri portanti della "sosta", appunto, che qui si trovava: un edificio con una grande stalla dove si potevano rifocillare i cavalli o cambiarli.
L'ingresso e la sala della colazione, con gli archi ampi e ribassati, coincidono proprio con quella che un tempo era la stalla dei cavalli. 
La gestrice ci accoglie con una gentilezza speciale, invitandoci a fare merenda con brioches, frutta, succhi o qualunque altra cosa desideriamo. Attorno a noi, guardando meglio nella penombra, in effetti vediamo vassoi e piatti con ogni genere di prelibatezze. Non esagero dicendo che ogni superficie piana - tavoli, tavolini, mobiletti, credenze - è occupata da un dolce, un altro, un altro ancora... e la signora è intenta a sfornare qualcos'altro.
 Nella sala della colazione, perennemente allestita, ci sono già - le conto - una dozzina di torte.



La camera, al piano superiore, è preparata con la stessa cura.

Dedichiamo il tardo pomeriggio alla visita di S.Quirico, minuscola e meravigliosa: la Collegiata dei Santi Quirico e Giulitta, con i suoi splendidi portali, gli Horti Leonini, giardino cinquecentesco, in parte all'italiana, in parte all'inglese, che ci conduce alla scoperta di alcune installazioni contemporanee e di un piacevole panorama di tetti cittadini, Santa Maria Assunta, il cui campanile a vela, bello nella sua semplicità, intercetta l'ultimo sole.






Sole che si attarda sulla pietra chiara, si riflette sulle superfici lucide e fa risplendere il bianco del marmo. Abbaglia ancora, con i suoi raggi radenti. 
Quella di oggi - lo deciderò poi, a fine viaggio - è la mia tappa preferita.