di Giulia Cocchella
A cercarli con
metodo, i fantasmi sono come i funghi: si trovano ovunque.
Con il tempo
ottobrino mi concedo un giro da turista a Mantova e sotto la pioggia battente incontro
lei, Agnese Visconti, o meglio la sua ombra.
Agnese sposò
Francesco I Gonzaga non per amore, e nemmeno per noia: le due famiglie dovevano
consolidare i rapporti politici e allora si usava consolidarli così. Il
pacchetto Visconti comprendeva anche una dote di 50.000 scudi d’oro e un pugno
di città.
Però capitò che
Agnese diede al marito una sola figlia femmina, Alda, e come non bastasse suo
padre, Bernabò Visconti, fu ucciso dal cugino Gian Galeazzo che divenne così il
nuovo signore di Milano. Agnese diventò una moglie inutile. Bastò appiopparle
un amante per poterla eliminare.
Francesco I, che la
storia definirebbe senza scrupoli e io chiamerei lurido bastardo, puntò il dito
contro il cavaliere Antonio da Scandiano e disse: adulterio! Seguì un processo
fasullo, quindi i due presunti amanti furono uccisi. Era il 7 febbraio 1391.
I corpi vennero
sepolti in terra sconsacrata, proprio
dove ora si trova una targa commemorativa, nel cortile di Palazzo Ducale.
Agnese aveva
ventitré anni.
Palazzo Ducale lo
giro tutto, in lungo e in largo, vado a vedere la Camera Picta di Mantegna, ammiro
le sinopie di Pisanello, sbadiglio davanti agli arazzi e frugo negli infiniti
riflessi della galleria degli specchi. Niente.
Il minimo è che la
poveretta si lamenti. E accenda e spenga le luci di Palazzo Ducale e del Castello
a suo piacimento, come riferiscono gli abitanti di Mantova.
Ma oggi non accade
niente di strano.
Esco in Piazza
Sordello. C’è qualche turista, e i mantovani in bicicletta aprono gli ombrelli
tenendo il manubrio con una sola mano.
Venerdì: finalmente
riappare il sole!
Esco presto, vado a
comprare una camera d’aria di scorta nel più vicino negozio di biciclette e
parto alla volta di Peschiera del Garda.
Avevo detto Ciclovia
del Po?
Sì, l’avevo detto,
ma è dolce cambiare idea.
Tafani e zanzare,
che sul fiume hanno certificato i miei prosciutti con tondi ponfi rosa, lasciano
qui il posto alle libellule e ad altre graziose bestiole.
La strada è segnalata
con molti cartelli che addirittura forniscono la distanza percorsa e quella da
coprire, con una precisione che mi commuove.
Perdersi è creativo,
ma a volte è bello anche sapere di essere sulla strada giusta.
Mi rilasso e mi godo
il panorama che si stende piatto a perdita d’occhio, in tutti i toni del verde.
Ora sulla mia sinistra,
ora sulla mia destra, scorre il Mincio, sorvegliato dagli aironi.
Ci sono prati che
sembrano di seta.
Ci sono folaghe,
gallinelle d’acqua, mucche e persino un maiale che si rotola nel fango con visibile
soddisfazione.
Peschiera del Garda
si annuncia con alte mura circondate dall’acqua, una specie di grande castello
con fossato, senza coccodrilli a minacciare i canoisti.
È una città molto
ordinata, non un geraneo fuori posto, affacciata su un mare chiuso, senza
tempeste. La giro piano in bicicletta, poi all’improvviso mi viene una fame
tremenda e mi fermo.
Quando riparto per
tornare a Mantova, il sole è alto e mi sento colma di una grande calma: non ho
forato, ho trovato e mantenuto la strada (per quanto fosse facile) e ho
raggiunto la meta che desideravo.
Una coccinella mi
promette che anche il ritorno sarà un buon viaggio.
Gli ultimi tre
chilometri seguono le rive del Lago Superiore, dove un’inaspettata distesa di fiori
di Loto mi fa rallentare e poi fermare. Tutta questa delicatezza galleggiante,
esotica e insperata, incornicia il profilo della città, sospesa sull'acqua.
C’è una storia
curiosa, dietro queste foglie larghe che le folaghe usano come zattere.
Era il 1921, una
sera d’autunno per essere precisi, quando una giovane ricercatrice di scienze
naturali, Maria Pellegreffi, uscì in barca sul Lago Superiore.
Con Maria c’erano l’amica
Elvira, il fidanzato Aurelio, e alcuni rizomi di Nelumbo nucifera.
Maria sapeva che i fiori
di Loto vanno seminati di notte perché maltollerano la luce e aveva intuito che
il Lago Superiore avrebbe fornito loro l’habitat ideale.
Aveva ragione: i
fiori, che pure provenivano dalla Cina, si trovarono benissimo nel lago
mantovano e si propagarono sulla sua superficie fino a coprire alcune decine di
ettari.
Ritorno in città con
gli occhi e il naso ubriachi di bellezza. Ora non resta che stupire il palato
con i tortelli di zucca.
Attraverso piazza
Sordello, spingendo la bici che sobbalza sul pavimento di pietre tonde.
Penso a Maria e alle
risate che cent’anni fa devono essersi fatti, quei tre, sul Lago Superiore.
Un lampo di luce
arriva da sinistra, dal Castello. Come se qualcuno avesse aperto o chiuso una
finestra. Ma non c’è nessuno.
Proseguo ancora verso
Piazza delle Erbe, con la testa piena di storie da portare a casa.
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