di Giulia Cocchella
Andare a Camogli in bicicletta mi piace perché non c’è
bisogno di prendere il treno per avvicinarsi: lo permettono i pochi chilometri
e la qualità del percorso, quasi senza traffico se partite da Genova in un
giorno di festa.
La strada mi riserva scorci mattutini di pura bellezza.
La strada mi riserva scorci mattutini di pura bellezza.
A Nervi
mi fermo per fare colazione con una brioche farcita al momento con marmellata
di fichi: la sgranocchio fronte a mare, il riflesso del sole che quasi mi fa
chiudere gli occhi.
Proseguo passando tra le case di Nervi, poi Bogliasco, Pieve,
un tratto di salita dopo Sori, e giù in discesa verso Recco. Dietro una delle
mie curve preferite, la vecchia via Aurelia spalanca davanti ai miei occhi un
panorama abbagliante: due araucarie, alberi che sembrano usciti dalla matita
nera di un disegnatore visionario, ritagliano un orizzonte color argento.
Il Promontorio di Portofino è una grande isola sospesa nella luce.
Il Promontorio di Portofino è una grande isola sospesa nella luce.
Arrivata a
Camogli penso di telefonare a Marta e Geraldina per prendere un caffè insieme,
ma le trovo già in passeggiata, Giulia! mi sento chiamare. È bello
chiacchierare così, passare con disinvoltura da un argomento all’altro mentre
il sole è sempre più caldo e là sotto, in spiaggia, qualcuno fa il bagno.
Poco
più tardi, nel porticciolo dietro la chiesa, ritrovo i riflessi.
Li avevo scoperti molti anni fa, a Boccadasse, quando un dito, per caso, mi era scivolato troppo a lungo sullo zoom. E li rivedo qui, nell’acqua che circonda le barche, davanti a queste facciate così liguri, i cui colori diversi dovevano aiutare i marinai a riconoscere casa propria quando tornavano dal mare, a ca’ mogli appunto, a riportare baci a spose e fidanzate. E queste case, le tinte diverse, il verde delle persiane, si stemperano nell’acqua come se un pittore avesse pulito il pennello nel mare.
Li avevo scoperti molti anni fa, a Boccadasse, quando un dito, per caso, mi era scivolato troppo a lungo sullo zoom. E li rivedo qui, nell’acqua che circonda le barche, davanti a queste facciate così liguri, i cui colori diversi dovevano aiutare i marinai a riconoscere casa propria quando tornavano dal mare, a ca’ mogli appunto, a riportare baci a spose e fidanzate. E queste case, le tinte diverse, il verde delle persiane, si stemperano nell’acqua come se un pittore avesse pulito il pennello nel mare.
Mi viene in mente Daubigny,
nel suo atelier galleggiante sul battello Botin, prima ancora del Salon des
Refusés, prima che Renoir e Monet si facessero stordire dai colori dell’acqua alla Grenouillère.
Charles-Francois Daubigny dipingeva la Senna sulla Senna – non
doveva soffrire lo sciabordio – la luce con la luce, l’acqua con l’acqua, en
plein air. E se era contento del suo lavoro, allora aggiungeva un’anatra. Due, se
il dipinto era venuto più che bene. E così via, fino a cinque, sei anatre
anche, a seconda della sua personale soddisfazione.
Claude Monet, La Grenouillere |
Charles-Francois Daubigny, Anatroccoli in un paesaggio fluviale |
Mi fermo ancora un po', a fare scorta di bellezza.
"Quale necessità abbiamo di risalire alla storia, di rifugiarci nella leggenda, di consultare i registri dell’immaginazione? La bellezza è sotto i nostri occhi” Jules Castagnary, 1876
Smack! :-)
RispondiEliminaLe chiacchierate a sorpresa di fronte al mare sono sempre le più belle!
è proprio vero!
RispondiEliminaE mi è rimasta una frase di Geraldina: amare abbastanza da... Come mi frulla, sfarfalla e frinfrulla nella testa :)