Ieri sera ho asciugato i miei vestiti
con il phon, ma dopo poche pedalate questa mattina sono daccapo.
Aggiorno la lista mentale di ciò che dovrò comprare per il prossimo
viaggio, aggiungendo anche tre promemoria di
carattere più generale: ricordati di controllare che il bancomat sia
sempre abilitato per l'estero, ricordati di fare una ricarica
telefonica generosa perché qualunque inconveniente di roaming può
farti restare senza un soldo, ricordati di portare delle posate da
campeggio.
Presi questi appunti mentali, penso
soltanto a pedalare.
Ad Hard, un termometro lungo la strada
segna sette gradi.
L'acqua bagna, è un dato di fatto, ma
se si mette da parte il pensiero “mi sto bagnando”, il viaggio
diventa divertente. Faccio meno foto di quelle che vorrei, perché
piove con insistenza e il telefono è difficile da utilizzare, così
finisco per essere più concentrata su ciò che ho davanti: non
raccolgo immagini, vedo paesaggi.
Mi addentro nell'intrico di canali e
fiumi che formano il delta del Reno, sbaglio strada, la ritrovo,
prendo un argine, lo abbandono. Un gruppo di gabbiani – saranno un
centinaio – si alza in volo all'improvviso come una polvere fitta
sollevata dal vento, una via lattea diurna, di piuma.
Se solo mi fermo un attimo il freddo mi
fa battere i denti, così regolo il cambio un po' più morbido di
quanto potrei, in modo da mulinare di più sui pedali e tenermi
caldo. Divento tutt'uno con la strada, con la mia bicicletta, con il
mio doppio nelle pozzanghere e persino con la pioggia che mi lava la
faccia.
In un prato punteggiato di fiori
gialli, si accendono gli occhi gialli di un gatto.
Aggiro il paese di Gaissau, passando
per una stretta stradina tra case e giardini perfetti, quando sulla
mia destra compare un ristorante-caffetteria. Freno in un lampo e mi
rifugio dentro. Un uomo sulla porta mi chiede da dove vengo. Ah
Genova, la Liguria, Ventimiglia, dice in un italiano quasi perfetto.
Ci vado ogni anno, aggiunge. Intanto una signora, forse la moglie, si
affaccia alla porta e chiede: caffé? Mi si allarga il sorriso. La
signora è gentile, mi parla in italiano, mi aiuta a sfilare la
giacca e mi mette a sedere a un tavolo apparecchiato di bianco.
Vicino a me c'è un signore anziano con un maglione azzurro, che ha
l'aria di essere un abitué. Mi chiede se parlo tedesco e io no, solo italiano o inglese. Solleva una mano a dire Mannaggia, io solo
tedesco invece! e intanto mi rivolge un sorriso gioviale, sdentato.
Continua a parlare quella sua lingua a spigoli guardando me con un
occhio e il proprietario con l'altro. Pensa che lei stia facendo il
giro d'Italia partendo da qui, mi traduce l'uomo. Rido, ho solo una
settimana! Come mai da sola? mi chiede il nostro interprete. Faccio
un gesto con la mano, che vuol dire tutto e niente, che significa
sfida e caso e colpo di testa. Ridono, rido anch'io. Quando mi alzo
per pagare, il proprietario mi dice che no, il caffè è offerto.
Guardo l'uomo col maglione azzurro. Lui spalanca un sorriso a
finestra e fa scivolare le dita di una mano nell'aria davanti a sé:
va bene così, è un piacere.
Saluto tutti uno ad uno ed esco dicendo
arrivederci.
Tre giri di pedale e oltrepasso la
frontiera: sono in Svizzera.
Lumache grosse come sassi attraversano
lente la ciclabile.
Il bosco è verde intenso e gli alberi
che fiancheggiano a un tratto la strada hanno appesi ai tronchi
dei pannelli di legno con scritto...che cosa?
Sulla strada per Rorschach compare un
edificio dai colori sgargianti e dalle linee rotonde: è il
padiglione del mercato di Altenrhein, costruito dal bio-architetto
Friedensreich Hundertwasser. “La linea retta è senza Dio”, pare
sostenesse convinto, così non solo l'edificio se ne tiene distante,
ma persino le strisce pedonali che portano all'ingresso sono percorse
da una vocazione ondulatoria.
Sul lungolago di Rorschach, una
scultura che gioca con le trasparenze suggerisce che l'uomo è il
mondo che si porta dentro. O è un invito a dimenticarsi di sé per
un attimo e a farsi lago, sasso, gabbiano?
Più avanti, due sirene gemelle siedono
sulla O del loro canto fatale.
Arbon richiederebbe il tempo di una
visita (anzi la mia guida suggerisce di chiudere qui la tappa di
oggi) ma il freddo incalzante, la pioggia e il vento mi costringono
ad un giro rapidissimo.
Ingoio un bretzel che la signora della
backerei ha farcito con una quantità di burro che io forse consumo
in sei anni: è buonissimo! Poi ritorno sulla ciclabile e faccio
tutti di fila i trenta chilometri che mi riportano a Costanza.
So già
dove andare a dormire, ritrovo persino la strada al primo tentativo.
Domani è prevista tempesta e resterò qui. Domenica con l'Untersee
chiuderò il mio giro.
Accidenti questa Giulia da sola nella tempesta in giro per l'Europa...
RispondiEliminaNon ha proprio paura di niente ...