giovedì 8 maggio 2014

Il genere dei fiumi

di Giulia Cocchella

Pensate pure che sia un argomento di poca importanza, quelle domande attorno alle quali solo gli sfaccendati possono perdere il loro tempo, ma io sulle questioni linguistiche mi incaglio, non riesco a passare oltre, a rimanere indifferente. È costituzione, mi dico come per giustificare qualche chilo di troppo, ma davvero è da domenica che ci penso, e più ci penso più il pensiero si allarga, più il pensiero si allarga, più comprende altri argomenti, tutti senza soluzione. La domanda è questa: perché alcuni nomi di fiume sono maschili e altri femminili?
Ridete, ridete pure, ma la lingua non è mai a caso, i nomi connotano le cose, sono il nostro tentativo di comprendere e ordinare il mondo, un mondo che abbiamo trovato creato, fatto e finito, zac, con un albero di mele al centro e guai a chi ne mangia.


Piemonte nascosto in bicicletta, dice il programma, e io non posso fare a meno di iscrivermi perché sono curiosa di natura e se il Piemonte me lo nascondi, subito mi viene voglia di cercarlo, uguale uguale a Eva, tanto per rimanere in tema. Partiremo da Visone, continua il programma, poi incontreremo Rivalta Bormida, Castelnuovo e Cassine, Gamalero, Frascaro e Oviglio, fino ad Alessandria, il tutto lungo il corso – e qui si vede l’astuzia del compilatore – del fiume Bormida. Il Bormida o la Bormida?
Solo un’ora di treno e facciamo scendere le biciclette in un paesaggio completamente diverso da quello di partenza.
La natura ha steso fuori tutti i suoi verdi migliori, ci sono alberi così carichi di verde che sembrano dipinti di fresco, ancora da asciugare, aggiunti con un ultimo colpo di pennello un secondo prima del nostro passaggio.





Nei campi a lato della strada, frusciano spighe di grano, orzo e altri cereali che non conosciamo, mentre nell’aria volano batuffoli di polline enormi, grossi come gatti persiani, che i più romantici paragonano a fiocchi di neve.


Sarà per l’ottima compagnia, o per la strada sempre piana e colma di sole, ma mi sale un sorriso fino alle orecchie e una voglia generosa di cantare, che però riesco a tenere a bada quasi sempre a beneficio dei presenti.
Finché una piccola deviazione ci porta davanti a un panorama fluviale largo e assolato, di quelli che inducono al sospiro… non fosse per l’annosa questione, la Domanda che oggi mi assorbe tutte le energie neuronali residue: è il Bormida o la Bormida che si dispiega davanti a noi?


Perché potete anche semplificare e sostenere che, poiché finisce per a è femmina, ma cosa mi dite allora del Volga? E il Brenta? Che cosa manca loro rispetto alla Loira o alla Dora?
Il nome dei fiumi sarebbe neutro, se esistesse ancora il neutro nella lingua italiana, sostengono alcuni. Ma posto che non esiste, perché abbiamo deciso che un fiume è femmina e l’altro è maschio?
A complicare la questione ci sono i fiumi che cambiano genere. Oh, sì. Il Brenta, fiume maschile nell’uso comune, qualche tempo fa era femmina, si faceva chiamare la Brenta, chiedetelo ai veneti se non mi credete.
Per non parlare dei fiumi che sono fiumi maschi alla sorgente e fiumi femmina alla foce, o viceversa, senza che sia chiaro che cosa capiti loro nel mentre.
Dove non arriva la comprensione, soccorre la poesia: Carducci cita “la Bormida al Tanaro sposa”, da cui si evince che siamo di fronte a un’unione tradizionale, etero, tra un fiume maschio e un fiume femmina, la Bormida, appunto.
E adesso che la guardo bene, la Bormida, non ho più dubbi: ha un animo femminile, è femmina in quest’ansa ampia che distende in mezzo alle rive di fango, è femmina nel modo in cui accoglie le sponde verdi e gli alberi, nella qualità del suo movimento. È femmina perché sono femminili le sue acque nel loro muoversi, tanto che non è chiaro in che direzione vada il fiume.





Proseguiamo ancora, attraversiamo paesi piccoli e quasi disabitati, mentre su tutto dominano i campi e la natura.
Riusciamo a intrufolarci nel parco del Castello di Oviglio, con i suoi alberi secolari, e mi trovo a parlare piacevolmente di piante e talee con Sara, mentre pedaliamo verso Alessandria.


Torno a casa lungo il Bisagno, che ha dato il nome di battaglia al partigiano Aldo Gastaldi, e penso che i fiumi hanno il genere che è loro proprio, che forse la scelta linguistica deriva dall’osservazione, dall’esperienza e nient’altro. Che in definitiva, anche pedalando in capo al mondo, anche dopo il biblico morso della conoscenza, il segreto profondo delle cose, per fortuna, resta intatto.

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