domenica 15 maggio 2016

Reichenau. La strada infinita

di Giulia Cocchella



Questa mattina per prima cosa controllo il cielo dalla finestra: variabile, non chiedo di meglio. 
Zenobia si sveglia e ci dividiamo i dolci che ho comprato ieri al discount qui vicino. Ha il viso tondo da ragazzina e cammina saltellando, faremo il viaggio insieme domani, perché anche lei è diretta a Milano. Mi racconta che ieri ha visto Mainau e oggi farà un giro vista lago. Mi racconta dei fiori e delle farfalle. Tu dove sei diretta? Oggi mi spetta la tappa più impegnativa: Untersee, Zellersee e Gnadensee, passando per Reichenau. A stasera!


L'aria è persino più fredda di ieri, nonostante a tratti spunti il sole. Ho addosso praticamente tutto quello che mi sono portata, più la maglia termica acquistata ieri.
Domina il verde, in tutte le sue gradazioni: quello delle coltivazioni di mais, delle foglie delle viti, dei prati, quello punteggiato di bianco e di rosa dei frutteti. E ad ogni cambio di umore del tempo – variabilissimo, come sempre in questi giorni – cambiano anche l'intensità e la trasparenza delle tinte: è un continuo, meraviglioso avvicendarsi di colori.



Stein am Rhein, appena oltrepassato il panoramico ponte sul Reno, si rivela una cittadina di case dipinte, insegne fiabesche e finestre a sporto colorate di geranei. Un gatto di bronzo si è seduto sul bordo di una fontana. 


Non posso fare a meno di meravigliarmi senza sosta delle case e delle fontane di questi posti: mi piacciono la morbidezza delle linee del legno e del metallo, l'uso dei colori, molti e diversi, l'ironia fiabesca delle forme.





Oltrepasso il confine tra Svizzera e Germania, più che mai informale qui tra i campi, e raggiungo Gaienhofen, la città dove Hermann Hesse ha vissuto per alcuni anni, dal 1904 al 1912: mi guardo attorno e cerco gli angoli, i panorami aperti, le zone d'ombra che devono averlo ispirato. Penso ai suoi tre figli, che nacquero qui, penso alla sua barchetta di legno con cui si spingeva al largo. Per un attimo mi sembra che le nuvole nel cielo trascorrano più veloci.
La strada prosegue tra prati di fiori e canneti.




A Radolfzell, il bambino di Ubbo Enninga emerge dall'acqua bassa del lago. Un passero gli si posa sulla schiena.


È una lunga striscia di terra quella che porta all'Isola di Reichenau, un ponte alberato che sembra non avere fine.


La storia dell'isola è legata all'abbazia benedettina che venne fondata dal monaco S. Pirmino nel 724 e divenne uno dei centri monastici più importanti d'Europa. I monaci coltivavano, scrivevano e miniavano, e ancora adesso l'isola ha quest'aria assorta, per cui credo che se mi fermassi qui potrei scrivere e coltivare la terra per sempre. Forse imparerei persino a disegnare. 







Le strade attraversano serre e campi, il lago compare a tratti tra i filari e così i campanili aguzzi delle chiese.




I luoghi a volte conservano lo spirito delle loro originarie destinazioni, così come il carattere degli abitanti presenti e passati, la loro propensione alla pace o alla guerra: qui, nell'aria che è come sospesa, nelle ombre azzurre di chiesa che si allungano mano a mano che il giorno trascorre, qui si respira una pace che se fossi credente avrei parole più adatte per definire.
Sono stanca, mi fermo alla backerei vicino alla diga e ordino un cappuccino e una fetta gigantesca di torta al limone (le porzioni qui sono sempre generose).
Pedalo verso l'ostello – verso casa, stavo per scrivere – e penso a che cosa è cambiato.

È cambiata la tranquillità con cui mi muovo, con cui ordino una fetta gigante di torta al limone. È cambiata la naturalezza con cui, arrivata in camera, chiacchiero con una signora polacca appena arrivata. È cambiato il mio sorriso, più pronto e generoso di quando sono partita.
Stasera ancora non lo so, ma domani, sul pullman, io e Zenobia compileremo e ci regaleremo una lista di parole fondamentali, italiano-cinese, cinese-italiano, che andrà ad aggiungersi idealmente alla lista di Janisch.
Così questo che sta per chiudersi è anche il viaggio delle parole necessarie per sopravvivere.
Zenobia impara a dire Ti amo e lo ripete in continuazione anche quando scendiamo per una sosta in autogrill. Mi viene da ridere e rido. Mi viene da dire grazie in tutte le lingue del mondo.

Si
No
Grazie
Prego
Ciao
Buona fortuna

venerdì 13 maggio 2016

Bregenz - Costanza. Pane, burro e tempesta

di Giulia Cocchella



Ieri sera ho asciugato i miei vestiti con il phon, ma dopo poche pedalate questa mattina sono daccapo. Aggiorno la lista mentale di ciò che dovrò comprare per il prossimo viaggio, aggiungendo anche tre promemoria di carattere più generale: ricordati di controllare che il bancomat sia sempre abilitato per l'estero, ricordati di fare una ricarica telefonica generosa perché qualunque inconveniente di roaming può farti restare senza un soldo, ricordati di portare delle posate da campeggio.
Presi questi appunti mentali, penso soltanto a pedalare.
Ad Hard, un termometro lungo la strada segna sette gradi.



L'acqua bagna, è un dato di fatto, ma se si mette da parte il pensiero “mi sto bagnando”, il viaggio diventa divertente. Faccio meno foto di quelle che vorrei, perché piove con insistenza e il telefono è difficile da utilizzare, così finisco per essere più concentrata su ciò che ho davanti: non raccolgo immagini, vedo paesaggi.



Mi addentro nell'intrico di canali e fiumi che formano il delta del Reno, sbaglio strada, la ritrovo, prendo un argine, lo abbandono. Un gruppo di gabbiani – saranno un centinaio – si alza in volo all'improvviso come una polvere fitta sollevata dal vento, una via lattea diurna, di piuma.
Se solo mi fermo un attimo il freddo mi fa battere i denti, così regolo il cambio un po' più morbido di quanto potrei, in modo da mulinare di più sui pedali e tenermi caldo. Divento tutt'uno con la strada, con la mia bicicletta, con il mio doppio nelle pozzanghere e persino con la pioggia che mi lava la faccia.
In un prato punteggiato di fiori gialli, si accendono gli occhi gialli di un gatto.
Aggiro il paese di Gaissau, passando per una stretta stradina tra case e giardini perfetti, quando sulla mia destra compare un ristorante-caffetteria. Freno in un lampo e mi rifugio dentro. Un uomo sulla porta mi chiede da dove vengo. Ah Genova, la Liguria, Ventimiglia, dice in un italiano quasi perfetto. Ci vado ogni anno, aggiunge. Intanto una signora, forse la moglie, si affaccia alla porta e chiede: caffé? Mi si allarga il sorriso. La signora è gentile, mi parla in italiano, mi aiuta a sfilare la giacca e mi mette a sedere a un tavolo apparecchiato di bianco. Vicino a me c'è un signore anziano con un maglione azzurro, che ha l'aria di essere un abitué. Mi chiede se parlo tedesco e io no, solo italiano o inglese. Solleva una mano a dire Mannaggia, io solo tedesco invece! e intanto mi rivolge un sorriso gioviale, sdentato. Continua a parlare quella sua lingua a spigoli guardando me con un occhio e il proprietario con l'altro. Pensa che lei stia facendo il giro d'Italia partendo da qui, mi traduce l'uomo. Rido, ho solo una settimana! Come mai da sola? mi chiede il nostro interprete. Faccio un gesto con la mano, che vuol dire tutto e niente, che significa sfida e caso e colpo di testa. Ridono, rido anch'io. Quando mi alzo per pagare, il proprietario mi dice che no, il caffè è offerto. Guardo l'uomo col maglione azzurro. Lui spalanca un sorriso a finestra e fa scivolare le dita di una mano nell'aria davanti a sé: va bene così, è un piacere.
Saluto tutti uno ad uno ed esco dicendo arrivederci.



Tre giri di pedale e oltrepasso la frontiera: sono in Svizzera.
Lumache grosse come sassi attraversano lente la ciclabile.
Il bosco è verde intenso e gli alberi che fiancheggiano a un tratto la strada hanno appesi ai tronchi dei pannelli di legno con scritto...che cosa?




Sulla strada per Rorschach compare un edificio dai colori sgargianti e dalle linee rotonde: è il padiglione del mercato di Altenrhein, costruito dal bio-architetto Friedensreich Hundertwasser. “La linea retta è senza Dio”, pare sostenesse convinto, così non solo l'edificio se ne tiene distante, ma persino le strisce pedonali che portano all'ingresso sono percorse da una vocazione ondulatoria.


Sul lungolago di Rorschach, una scultura che gioca con le trasparenze suggerisce che l'uomo è il mondo che si porta dentro. O è un invito a dimenticarsi di sé per un attimo e a farsi lago, sasso, gabbiano?


Più avanti, due sirene gemelle siedono sulla O del loro canto fatale.



Arbon richiederebbe il tempo di una visita (anzi la mia guida suggerisce di chiudere qui la tappa di oggi) ma il freddo incalzante, la pioggia e il vento mi costringono ad un giro rapidissimo. 


Ingoio un bretzel che la signora della backerei ha farcito con una quantità di burro che io forse consumo in sei anni: è buonissimo! Poi ritorno sulla ciclabile e faccio tutti di fila i trenta chilometri che mi riportano a Costanza. 





So già dove andare a dormire, ritrovo persino la strada al primo tentativo. Domani è prevista tempesta e resterò qui. Domenica con l'Untersee chiuderò il mio giro.

giovedì 12 maggio 2016

Langenargen - Bregenz e l'isola di Lindau

di Giulia Cocchella


Janisch mi accoglie al piano di sotto con un sorriso largo che le rimane sul viso a lungo, intanto mi fa strada nel soggiorno dove è imbandita una colazione che potrebbe sfamare senza fatica quattro persone. Alle pareti ci sono le foto dei figli e dei nipoti.
Prima di salutarci, mi chiede se voglio portar via quello che non sono riuscita a mangiare: lo fa con semplicità, mostrandomi un rotolo di alluminio e indicando le mele, il pane e il formaggio. Poi mi consegna una lista di parole che ha fatto per sé, mi spiega, ma che posso tenere. Leggiamo le frasi in italiano e in tedesco e ridiamo. Questa lista è molto preziosa, le dico in inglese. E lo penso davvero, non è solo un modo per dire grazie: è preziosa perché è scritta a mano, come gli auguri e le ricette che ci si scambia tra amiche, e perché contiene le parole che questa donna che ho davanti - che conosco appena, madre e nonna di bimbi biondissimi di cui non so il nome - ha pensato mi saranno utili in viaggio, appena ci saremo salutate sulla porta di casa. Un modo gentile per accompagnarmi ancora un po'.
Sì, no, ciao, grazie, prego, buon giorno e come stai: il bagaglio lessicale minimo per la sopravvivenza, per l'oggi. E buona fortuna, che ci proietta in un domani col sole.





Lo metto in tasca il sole, e pedalo sotto una pioggia decisa che quasi fa male agli occhi. 
A un certo punto però smetto di pensare al fatto che mi sto bagnando e scopro che pedalare sotto la pioggia mi fa venire da ridere, un po' come si ride per il solletico. La giacca impermeabile che ho acquistato prima di partire mi ripara busto, braccia e testa, ma la faccia e le gambe si bagnano come sotto la doccia. Gli occhiali li tolgo, non servono più. Così, ispirata da Janisch, faccio una lista più prosaica di indumenti da acquistare per la prossima volta: copriscarpe, coprigambe impermeabili, guanti impermeabili (se esistono). E ricordarsi l'olio per la catena, che dopo la pioggia va ingrassata.


Oltrepasso case e casette per i passeri, incrocio un' auto che mi fa passare, ringrazio e mi fermo a chiacchierare come niente fosse con il signore al volante. Con questo tempo? mi chiede, sì con questo tempo, non ho molti giorni a disposizione, l'importante è non fermarsi troppo a lungo. Mi sorride, gli sorrido, poi ci salutiamo. Mi sento all'improvviso così bene che quasi potrei pedalare cantando!


L'isola di Lindau si raggiunge in fretta, anche perché la pioggia e il freddo imprimono alla pedalata una velocità naturale, dettata dall'esigenza di mantenere una temperatura accettabile. Appena mi fermo batto i denti, così guardo le belle case e le vie da sotto il cappuccio della giacca, continuando a pedalare, finché il freddo si fa sentire anche così, e allora decido di fermarmi per un caffé.


Lindau ha un porto che sembra dipinto da un pittore simbolista, anzi forse mi ricorda proprio un quadro in particolare, ma non saprei dire quale.


Penso che qui sul Bodensee, il Lago di Costanza, hanno l'abitudine curiosa di chiamare isole queste piccole porzioni di terra collegate alla costa. Sono isole al guinzaglio, sottratte per sempre alla deriva da ponti di terra ferma che le tengono ben strette, sotto controllo.





Proseguo verso Bregenz, percorrendo un lungolago reso spettrale dalla nebbia che la pioggia solleva.


A Bregenz decido di fermarmi perché il freddo incomincia ad essere davvero troppo intenso.
Alloggio ignara presso l'ostello più caro della storia degli ostelli, ma il personale è accogliente e gentile e l'unica cosa di cui mi importa in questo momento è che abbiano l'acqua calda corrente. Provo a compilare il modulo di accettazione, ma mi trema la mano. La signora sorride, mi dice after, mi indica la stanza dove faccio una doccia caldissima, finché le mani iniziano a formicolare e mi ritorna il sorriso.



Bregenz ha belle fontane, sempre con quel gusto un po' fiabesco tipico di questi posti.
La giro con calma, sotto la pioggia, vado a vedere il palco galleggiante del Festival Musicale, poi mi addentro tra le stradine, mi arrampico verso la città alta e le sue chiese con le cupole a bulbo.








 Quando sono sazia di fiori, insegne a forma di cicogna e tegole tondeggianti, quando la pioggia mi ha inzuppata daccapo, faccio la spesa e ritorno all'ostello.