martedì 28 ottobre 2014

Pedalando con Montale. Da San Lorenzo a Ospedaletti


di Giulia Cocchella

La ciclabile di Sanremo, dalla primavera scorsa, ha acquisito cinque chilometri in più. Non sono molti, ma vi accompagnano fino a Ospedaletti, il cui fronte a mare giustifica il viaggio, breve o lungo che sia.


Io e Valeria partiamo da Imperia, stazione di Porto Maurizio, seguiamo la Via Aurelia fino a S. Lorenzo al Mare e da lì ci immettiamo sulla ciclopedonale che porta alla Città dei Fiori. Il clima è mite, il sole manda una luce abbagliante e ferma – la sensazione che ritrovo è ogni volta la stessa: un cielo immobile ad un mezzogiorno perenne, un buon tempo imperturbabile – e Valeria continua a ripetere che questo è il paradiso. Il giardino edenico forse non aveva nemmeno fiori come questi.

                             























Pedaliamo vicine e tutto a un tratto, inaspettato, ci raggiunge Montale. Valeria recita a memoria: Ed ora son spariti i circoli d’ansia / che discorrevano il lago del cuore / e quel friggere vasto della materia / che discolora e muore. / Oggi una volontà di ferro spazza l’aria, /divelle gli arbusti, strapazza i palmizi … Mi sembra di vedere una sagoma scura alla mia sinistra. Vestito elegante come sul cofanetto dei Meridiani, il faccione pieno, le orecchie tonde, su una cittadina leggera, senza marce, con la sella fasciato di cuoio, il poeta affianca la sua bici alle nostre. Non dico niente. Non mi volto neppure, ruoto solo gli occhi fin dove mi è possibile. Non lo potrei giurare, ma forse c’è persino un’upupa sul suo manubrio, spettinata dal vento: un campanello di piuma. Valeria intanto si scusa di non ricordarsi bene, è la poesia di Montale che preferisce, "L’agave su lo scoglio", non una sola poesia a dire il vero,  un trittico piuttosto, in cui ogni componimento è dedicato ad un vento. Io me la ricordo appena, prometto che andrò a rileggerla e penso questa promessa ad alta voce, la penso fortissimo perché il poeta, che sicuro si è accorto delle mie lacune, possa perdonarmi. 
Mi sembra di sentirlo sospirare. O forse è il mare, qui sotto. 


Oltrepassiamo la vecchia stazione di Sanremo,  il cui orologio è un simbolo inconsapevole di decadenza e trasformazione, così collassato su se stesso, senza più lancette, né numeri, nido per tortore, forse: qui il treno non passa più, l’intera ciclovia è costruita sul vecchio tracciato ferroviario dismesso. Ore perplesse... , mi sussurra una voce all’orecchio, tutto schianta l'ora che passa...


Pedaliamo oltre e ci attende una lunga galleria con frasi dipinte sull’asfalto e pannelli che ricordano i personaggi celebri della classicissima Milano-Sanremo. Poco più avanti, allegre e sfrontate come vacche in mezzo alla strada, le biciclette occupano l' ex stazione di Ospedaletti.


Ogni tanto mi giro veloce indietro, sacrifico volentieri l'equilibrio per un ultimo sguardo, ma il poeta non c'è più, il momento è passato. 
In cambio, proprio sulla nostra strada, incontriamo l'agave.



...come senti nemici / gli spiriti che la convulsa terra / sorvolano a sciami, / mia vita sottile, e come ami / oggi le tue radici.

Me lo immagino, il poeta, è un ragazzino. E la spiaggia è quella di Monterosso. Eugenio, lo chiama sua madre, Eugenio vieni qui. Lo chiama due, tre volte. Nelle pieghe del mare, come altri raccolgono sassi, deve aver già trovato endecasillabi, rime alternate, ossi di seppia.


(in corsivo, citazioni da L'agave su lo scoglio, in Ossi di seppia, Eugenio Montale)


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