lunedì 9 febbraio 2015

La bicicletta di Bartali. Una bella storia.

di Giulia Cocchella

Pensate alla bicicletta come un contenitore. Immaginate gli elementi del telaio e la sella come posti in cui nascondere qualcosa. Sono documenti falsi e foto tessere, per fare espatriare centinaia di uomini che altrimenti saranno deportati. Aggiungete che ci troviamo in Italia, a Firenze, tra il '43 e il '44, proprio quando le leggi razziali, in vigore dal '38, diventano ancora più feroci. Sì, avete capito bene, questa storia è una storia vera: la bicicletta è verde e a pedalare è Gino Bartali.


Se penso a Bartali mi viene in mente, come a molti di noi, la celebre foto in cui “Ginettaccio” passa la borraccia a Coppi, istantanea che diventa icona del ciclismo elegante, della rivalità - forse più narrata che reale - che si inchina al rispetto per la fatica, per l'uomo. Anche Gino e Fausto diventano icone, e siccome le mezze tinte non si addicono agli eroi, Bartali incarna il simbolo dell'Italia democristiana, Coppi di quella comunista. Così li vuole la gente, la stampa, l'Italia del dopoguerra. Ma la realtà è più complessa.

Ce lo racconta un bel libro per ragazzi, scritto da Simone Dini Gandini e illustrato da Roberto Lauciello, La bicicletta di Bartali. Pubblicato da Notes Edizioni, si trova in libreria da pochi giorni e potete leggerlo oppure no, è chiaro, solo che se non lo leggete vi perdete una bella storia.


"Mettiamo che Pitagora abbia ragione e i pianeti facciano musica. Mettiamo anche che le ruote della bicicletta di Bartali facciano musica e che questa musica si accordi alla perfezione con quella prodotta dai pianeti.
Mettiamo pure che a questo connubio si aggiunga la canzone di Paolo Conte, che si intitola per l'appunto “Bartali” e non importa un bel niente se non è stata ancora scritta ma è bellissima e tutte le cose belle meritano di esserci sempre. Sarebbe un bel sentire, alla faccia della guerra."

E alla faccia della guerra, Bartali pedalava ogni giorno, per mantenersi in allenamento in previsione del ritorno all'attività agonistica: così diceva alla moglie e al figlio Andrea. Pedalava da Firenze a Genova, e poi da Firenze ad Assisi, quando i nazisti trovarono sospetti quegli allenamenti e la prima tratta venne abbandonata perché troppo pericolosa. Pedalava e non diceva nulla, per proteggere i suoi familiari e perché “il bene si fa ma non si dice”. Solo molti anni dopo, raccontò questa storia al figlio Andrea, dicendogli di tenersela per sé, che un giorno avrebbe potuto raccontarla a sua volta: “Verrà il momento che potrai farlo e te ne accorgerai da solo. Io voglio essere ricordato per le mie imprese sportive e non come un eroe di guerra. Gli eroi sono altri. Quelli che hanno patito nelle membra, nelle menti, negli affetti. Io mi sono limitato a fare ciò che sapevo meglio fare. Andare in bicicletta.”


"...ci sono casi in cui infrangere la legge è l'unica cosa giusta da fare", ci sono momenti in cui scegliere da che parte stare è più che schierarsi, più che vestire un'opinione. Le ruote che girano, la schiena curva che sembra una collina, Gino Bartali ci da l'immagine energica, fisica, della speranza.

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