domenica 6 settembre 2015

Elogio della deviazione. Da Bobbio a Piacenza

di Giulia Cocchella



Lasciare la strada vecchia per la nuova è proverbiale. E il proverbio - la voce del buon senso - dice che chi si abbandona a questi slanci non sa a che cosa va incontro. Vero, verissimo: e qui sta la sorpresa!




 

Facciamo colazione al bar pasticceria di fronte alla Cattedrale, nell'aria quasi fredda del mattino.
Decidiamo di vedere con calma Cattedrale, Basilica e Castello, persino di fare un ultimo saluto al Ponte Gobbo dal letto del fiume.











Questa lentezza dell'andare ci ricompensa gli occhi con le piastrelle policrome e i mosaici della cripta di S. Colombano, uno spicchio pallido di luna sopra la torre campanaria, ghiande sparse lungo la strada come monete preziose e balconi fiabeschi che si aprono tra le fronde delle querce con tanta naturalezza che non sai dire se è nato prima l'albero o il castello.





Sulla testiera settecentesca di un letto per bambini, al Castello, troviamo un'intera famiglia di grilli: ce n'è uno che va in bicicletta!


Lasciata alle nostre spalle Bobbio, ci avviamo lungo la statale 45, che potrebbe portarci dritte fino a Piacenza, con il fermo proposito di abbandonarla dopo pochi chilometri. La variante ci è stata suggerita da una persona fidata e al bivio per Donceto non esitiamo: deviazione.
La strada si arrampica ripidissima tra case, aziende vinicole e vigneti, con una pendenza che per qualche metro ci obbliga a scendere dalla bicicletta. Fanno sempre così, le deviazioni, cercano di scoraggiarvi, di farvi pensare che si stava meglio prima, che la via maestra è quella che avete appena abbandonato, che chi lascia la strada vecchia per quella nuova... Fanno così per mettervi alla prova, ma appena si accorgono che perseverate, subito dietro la curva vi offrono una mela.


Di salita ce n'è ancora per poco, poi girate a destra in direzione Travo, ci consolano gli autoctoni. Infatti a un certo punto la strada raddrizza il suo corso e ci guida in un piacevole sali-scendi tre i vigneti: uva bianca e uva nera (dolcissima!) a perdita d'occhio.




















Tra le quinte prospettiche dei filari, che fanno rotolare lo sguardo verso il basso, si indovina il corso del Trebbia: il letto del fiume inizia là dove finisce la vigna; la vigna si arresta tra le pietre bianche del fiume. 
A Travo ci fermiamo nel primo bar aperto per farci preparare un panino da portar via.
La SP40 prosegue in mezzo ai campi, arrotonda covoni gialli alla nostra sinistra e spettina piccoli fiori lilla al passaggio delle biciclette. Passa accanto al Castello di Rivalta, poi si collega alla SP28 subito oltrepassato il lungo ponte che attraversa il Trebbia.
Poco dopo, una ciclabile a bordo strada accompagna in sicurezza fino a Piacenza.




















Così a Piacenza ci arriviamo comunque, ma con l'allegria delle deviazioni: strade nuove, non maestre. Strade che allungano l'estate, che rattoppano i cieli di nuvole dense. 
Strade che all'orizzonte fanno combaciare il verde con l'azzurro.

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