sabato 4 luglio 2015

Il rosso, il verde e l'azzurro. Parenzo e il fiordo di Leme

di Giulia Cocchella








Lasciati alle nostre spalle i tetti, le mura e l'Uomo di paglia di Montona, la strada verso Parenzo cambia ancora i suoi colori: al verde intenso dei boschi si somma quello più fresco delle vigne e la terra diventa rossa, prende una sua propria morbidezza allo sguardo. 
Non ci fermiamo, mi attardo soltanto per fare una foto al gruppo che corre veloce e taglia l'aria calda - che poi subito si ricuce dietro la schiena -, si apre un varco nel frinire continuo delle cicale e aggiunge la sua nota: il fruscìo della bicicletta.


Ma queste strade non sono soltanto un paradiso per gli occhi, sono anche il terreno di gara del nostro gruppo. 
Metti insieme due cose che insieme non sono mai state, scrive Julian Barnes alludendo alle persone, mettile insieme e tutto cambierà. I gruppi che si formano così, quasi per caso, a volte non sentono la fatica dell'incontro costretto, ma prendono l'abbrivio e mettono insieme, appunto, persone che altrimenti non si sarebbero sfiorate. 
Così con la terra e il mare, che ora fa l'orizzonte azzurro, con il verde e il rosso, con le pinne e coi pedali, incrociamo anche le nostre traiettorie. E si scatenano fughe, presunti sabotaggi di biciclette che forano una, due volte, interviste in testa alla gara e sospetti traffici per assicurarsi la tappa del giorno... Insomma, per citare Corrado, il nostro cronista ufficiale: non importa che tu sia di Catania o di Modena, di Roma, Padova, Treviso o Genova, quando ti alzi in Croazia meglio che cominci a correre!







Arriviamo a Parenzo e facciamo una foto davanti all'ultima stazione del treno.




La Basilica Eufrasiana a Parenzo
 

Sul campanile della Basilica

Danza popolari in piazza, a Parenzo



Poi è il fiordo di Leme ad attenderci, in motonave, anche se qualcuno lo sta percorrendo in bicicletta, lassù, in mezzo agli alberi... forse per portarsi avanti nella classifica?
La giornata si conclude con una festa a sorpresa, tra "appena conosciuti": è il mio compleanno. E non c'è bisogno di dire che no, non me lo aspettavo, non mi aspettavo il vostro pensiero, la torta con le candeline, i vostri regali... non c'è bisogno di dire che quando gli auguri arrivano così, arrivano dritti e sono i più belli. 

Grazie non basta, ma è la parola che si affaccia per prima. 

Buon viaggio a ciascuno di noi!






Da leggere prima di mettersi in viaggio: La Parenzana in bicicletta e Istria in bicicletta, di Fabrizio Masi, Ediciclo Editore.

martedì 30 giugno 2015

Come un treno nel bosco. La Parenzana


di Giulia Cocchella


Immaginate di percorrere in bicicletta un vecchio tracciato ferroviario, dove il treno non passa più.
Immaginatelo, questo treno: scuro, pesante, con due piccole scopette di saggina davanti alla locomotiva, a spazzare via le pietre dai binari. Pesa tonnellate, e la lentezza è commisurata al peso.Il suo arrivo è una festa - difficile da credere, ora - perché il treno porta con sé merci, notizie e persone care.
Le stazioni distano dai centri abitati sulle colline anche molti chilometri, perché i vagoni non possono certo arrampicarsi fin lassù.
Così il treno (riuscite a vederlo, adesso?) corre in mezzo agli alberi, ma non compete col vento: corre lento, più veloce forse di un animale in fuga, ma animale lui stesso, nero, nel verde assoluto di questi boschi.


La Parenzana.
Siamo in viaggio da due giorni e si alternano costantemente sotto le nostre ruote strade reali e strade che furono, luoghi in cui i vecchi binari sono insospettabili, altri dove la strada si allarga e scopre tra gli alberi le stazioni di un tempo.


Tento di aprire una porta chiusa; cerco di trovare l'inizio della storia, e la sua fine improvvisa, sul fondo di una ciotola lasciata sul tavolo della cucina. Lo scolapiatti è lì, ancora adatto al suo scopo, ma non ci sono piatti.






Da Trieste a Parenzo: 123 chilometri di ferrovia per soli 33 anni di servizio, dal 1902 al 1935. Binari che univano, idealmente e nella sostanza, i popoli diversi che da sempre erano abituati a convivere in Istria, nonostante la storia travagliata di questa regione.
Ce ne parla Ketrin Antolovic, lo fa con naturalezza passando da un argomento all'altro: prima le differenti qualità di olio che la sua famiglia produce, poi le difficoltà che dovettero affrontare i suoi nel periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale. Parla delle piante e della sua famiglia, chiama per nome i diversi tipi di olive come si chiamano per nome le persone e all'improvviso è chiaro che si tratta della stessa storia: la storia di una terra e di chi con tenacia la abita.




Ieri Muggia, Capodistria, Portorose, Buie.

Un ulivo vicino al mare, tra Capodistria e Isola


Le saline di Sicciole, in Slovenia

 


Oggi una lunga discesa nel verde, di quelle sconnesse che rimescolano i pensieri nella testa e li disperdono. 



Poi Grisignana con la lavanda e le persiane francesi, con le case di pietra e la lingua che ora batte dura, ora scivola via; gli scorci dove l'occhio si incaglia e quelli dove lo sguardo prende il volo.





Domani, che cosa ci riserverà il viaggio?

Una carta tra le foglie, all'uscita di una galleria

In viaggio con Viaggiare Slow e Jonas

martedì 9 giugno 2015

Orientarsi. Le colline del Monferrato

di Giulia Cocchella




Orientarsi significa volgersi verso Oriente, cioè individuare la giusta direzione. Esistono strumenti, trucchi da giovani marmotte, tecniche per individuare il nord a partire dalle stelle o da un orologio da polso. Ma un solo elemento è davvero importante quando si tratta di stabilire la via da percorrere: la compagnia. Potete stare certi che una persona che non si orienta (diciamo una donna) che viaggi insieme ad una persona in grado di orientarsi (diciamo un uomo), difficilmente sbaglierà strada, per la proprietà transitiva della carta geografica (- Tienila tu, và!-); al contrario, una persona che non si orienta (diciamo una donna), in compagnia di una persona incapace di orientarsi (diciamolo di nuovo) produrrà per somma un organismo errante, unicefalo, inconsapevole di sé e che sorride ai passeri. Lo so, non ci fa onore, ma bisogna pur essere oneste: siamo noi, Valeria ed io. O almeno lo eravamo.
Scendiamo dal treno ad Alessandria e sulle prime non riusciamo ad individuare la ciclabile che dovrebbe accompagnarci fuori dal centro. Si trova, in realtà, subito a sinistra dell'uscita della stazione.
È il 2 Giugno e il sole è caldo anche se sono solo le nove. Subito dopo, ecco il ponte sul Tanaro, lo oltrepassiamo, e con un' intuizione che mai ci saremmo sognate scegliamo, quasi senza indugio, la direzione giusta. Che cosa ci succede? Superata la provinciale, si capisce che il panorama prenderà il sopravvento.







Mi piacciono questi luoghi di frontiera tra la città e la campagna, mi piacciono per ciò che preannunciano, ma anche, in definitiva, per la loro indeterminatezza. Sono, a volte, terre di mezzo sbiadite, punteggiate di case a metà, troppo lontane dal centro e troppo distanti dai campi. Se ci sono centri commerciali, e spesso ci sono, sembrano blocchi di cemento atterrati dall'alto, rifiuti cosmici sganciati da qualche astronave di passaggio. C'è poca gente; questi territori di confine, a guardarli bene, portano già dentro i presupposti della loro futura conquista.
Mi viene in mente Thoreau, Camminare: “Qui intorno, attualmente, la parte migliore della terra non è proprietà privata; il paesaggio non appartiene a nessuno, e il camminatore gode di una relativa libertà”. Arriva diretto, il paesaggio, ci viene incontro abbagliante.



In questa stagione il Monferrato è del colore dell'oro e dei papaveri: grano e rosso.
Il primo paese che incontriamo, in cima a una ripida salita, è San Salvatore. Andiamo a vedere la torre del '400, poi pedaliamo in direzione Lu Monferrato. La strada prosegue tra le colline e arriviamo a Lu ubriache di verde. Pranziamo al belvedere, sedute per terra all'ombra, negli occhi le colline. Al bar del paese approfittiamo della curiosità generata dalla mia bici pieghevole per chiedere indicazioni sul percorso. Vogliamo andare a Cuccaro, ma passando per i vigneti. Di qua, ci dicono, e poi di là, e poi a destra. Se fossimo le stesse dell'anno scorso, questa conversazione sarebbe sufficiente per disorientarci, invece ci troviamo esattamente sulla strada che volevamo percorrere, in costa tra la Valle Tanaro e la Valle Po. Di questo passo, finiremo per non perderci... Imbocchiamo una strada a traffico limitato, ombreggiata da due file di ippocastani, che poi lasciano il posto ai vigneti: i filari iniziano qui vicino, a un passo da noi, e proseguono arrampicandosi sulle colline, con le loro traiettorie parallele, isobare verdi di una terra in cui il vento è assente.




Cuccaro ci regala una fontana per riempire le borracce. Seguendo le indicazioni per la Cascina Boemia, incontriamo due chilometri di ghiaia non pedalabile, che ci impongono di scendere e spingere le biciclette, mentre alla nostra destra si apre una valle in cui le coltivazioni si dividono la terra e la colorano. È la forma geografica della pace.






- Tulli? -
- Eh? -
- Siamo sulla strada giusta. Com'è possibile? -
- Non so, Pisti. Sono un po' spaventata. Forse l'orientamento si impara... -
E finalmente, dopo Quargnento, il paese natale di Carrà - dove provo a rintracciare con lo sguardo un seme, un filo sottile che conduca a lui e al suo immaginario, ma niente, non si trova - dopo Quargnento, dicevo, finalmente ci perdiamo.




E lo facciamo con il nostro stile inconfondibile, smarrendo occhi e naso nella bellezza di questo paesaggio ora di nuovo pianeggiante, dicendo guarda che meraviglia, senti qui, guarda là, dicendo che verde questo granturco, insomma facendo svaporare le nostre teste al sole nell'ebetudine di un falso piano che è quasi discesa. Per ritornare ad Alessandria, pedaliamo cinque chilometri sulla statale, con le auto che spostano l'aria e ci regalano un brivido che, siamo oneste, altrimenti avremmo rimpianto.







venerdì 24 aprile 2015

Valli di Comacchio. Pedalare sull'acqua

di Giulia Cocchella

Questa mattina mi alzo presto e faccio colazione in un bar subito dietro i Tre Ponti. 
Non so esattamente che strada seguirò oggi, l'unica certezza è che ho voglia di vedere le Valli il più possibile, sfruttando tutto il tracciato della FE 417 e della FE 40 fino all'Oasi di Boscoforte. 
Sulla strada per Argenta, dove devo arrivare entro sera perché è il paese con stazione ferroviaria più vicino, ci sono pareri diversi. Ieri un piccolo comitato di autoctoni incontrati per caso ha deliberato che passassi per Longastrino, ma in questo modo non completerei il giro delle Valli. Di altro avviso era il proprietario del b&b e stamattina il barista mi suggerisce una strada ancora diversa. Quando i consigli sono discordanti, quella è una buona occasione per fare di testa propria, o almeno un'attenuante!
L'argine è territorio indiscusso dei moscerini. Mi fermo ogni tanto a fotografare i casoni nella luce radente di questa mattina, più bella di ieri. 




Sono case sull'acqua, un tempo fatte di paglia e canne palustri, rifugi e strumenti di una pesca stanziale che non conosce tempeste. Alcuni sono costruiti in legno, altri in lamiera ondulata, altri ancora hanno il vezzo di una tendina alla finestra. Ce n'è uno che sorge dallo scafo di una barca, improbabile stadio evolutivo di un cassero fuori misura. Più avanti del fasciame non resta che il perimetro roso dall'onda, archeologia di un diritto edilizio, occupazione di suolo terracqueo del tempo che fu.


Sono belli i casoni di valle, stanno all'acqua come la casa sull'albero sta al vento: galleggiano senza contatto, ondeggiano senza pericolo, permettono viaggi dello sguardo senza chiedere un addio.
Superata la Stazione Foce, giro a destra e subito la pedalata prende lo slancio del volo. 







Corro su una striscia sottile di terra circondata dall'acqua su entrambi i lati: panorama a perdifiato che mi sfila a destra e a sinistra, che solleva voli bianchi, stormi di anatre, gabbiani, garzette. Un airone batte l'aria con le ali, proprio a un passo da me, si alza in alto. Lascia nello spazio vuoto dietro di sé il mistero del volo.
All'orizzonte si intravede piccola una casa rosa. È un casone in muratura sulla sua isola, collegata al sentiero da un ponte di legno. Faccio un giro tutto attorno in cerca di segni di passaggio, di una finestra mal chiusa. Non c'è nessuno, da tempo, probabilmente. Riattraverso il ponte sotto lo sguardo dei gabbiani, guardiani dell'isola.


 






La ciclabile prosegue ancora in mezzo all'acqua, sospesa tra il cielo e il suo riflesso, poi si interrompe e l'ultimo tratto coincide con la strada provinciale.




Arrivo fino a S. Alberto, di fronte all'Oasi di Boscoforte, dove incontro ancora i fenicotteri, alcuni rosa, altri grigiastri: i piccoli.


Qui inizia il “lungo Reno”, che alcuni mi avevano sconsigliato di percorrere. Non tardo a capire perché.
La strada, sterrata, segue per più di trenta chilometri il corso del fiume, prima sull'argine, poi tra l'argine e i campi. Non c'è anima viva, il sentiero è sempre dritto e sposta l'orizzonte senza l'appiglio di una curva, una salita, un albero. Misuro col pedale questa solitudine, che trascorre tanto più lenta o più veloce, quanto più faccio forza sui pedali. È una di quelle strade che sembrano non finire mai. A volte capita di incontrarle, in bicicletta: sono strade che allenano la fiducia.


Arrivo ad Argenta poco dopo l'ora di pranzo, ho ancora tutto un pomeriggio di sole.