di Giulia Cocchella
Mi piace pensare che la viabilità sia qualcosa di più di un semplice dato di transito o di regolamentazione del traffico stradale.
Se una città si dà delle norme e delle strutture che consentono a tutti gli utenti della strada di muoversi con agio e in sicurezza, allora quella città è anche più inclusiva, più vicina alle esigenze di tutti. Si occupa della qualità di vita delle persone.
Muoversi in bici per le vie di Bruxelles (e di tutte le Fiandre, come avremo modo di vedere) è un'esperienza sublime per chi è abituato a fare il ciclista urbano a Genova.
Dimenticate l'ostilità costante, le corsie ciclabili invase, i sorpassi che spettinano. Dimenticate le portiere che si aprono all'improvviso, i colpi di clacson in salita e ogni altra forma di malcelata ostilità e rilassatevi: siete in Belgio!
Qui le corsie degli autobus sono anche delle biciclette, le auto si fermano per farci passare e il traffico adegua la sua velocità a favore della sicurezza. Nessuno sbraita né fa manovre che rivelino impazienza: ognuno occupa la strada con la tranquillità di chi si sta spostando da un luogo a un altro. Senza drammi.
La tappa Bruxelles-Lovanio-Mechelen è lunga un'ottantina di chilometri circa, non presenta dislivello e risulta piacevolissima sin dall'inizio. Passiamo davanti ai grattacieli del Parlamento Europeo, quindi la ciclabile ci porta gradualmente fuori città, srotolando il suo tappeto in mezzo al verde.
Pedaliamo all'interno di un parco lussureggiante, dove facciamo il nostro primo incontro con le oche egiziane.
Scopriremo in seguito che questa specie alloctona ha colonizzato moltissime aree naturali e cittadine, tanto da rappresentare una minaccia per la fauna locale. Almeno così ci sembra che abbia detto un ciclista francese che disapprovava il nostro entusiasmo per questi buffi anatidi brucanti.
Le nuvole, con il loro passaggio, consegnano alla continua variabilità le nostre foto; ci fermiamo spesso a mettere e togliere la giacca antivento.
Nell'acqua galleggia un nido di folaghe con folaghini.
Si affacciano sulla strada casette meravigliose, circondate da curatissimi giardini.
Si susseguono coltivazioni dai solchi ordinati, campi di grano, campi di pascolo; incontriamo cavalli, mucche, rondini, mentre sopra le nostre teste trascorrono incessantemente le nuvole.
Arrivati a Lovanio, o Leuven, ci fermiamo per visitarla.
Ciò che più attrae la nostra attenzione è il Groot Begijnhof o Grand Beguinage, un luogo di silenzio e di riposo, come descritto nel cartello che accoglie all'ingresso. Non abbiamo mai visto niente di simile prima d'ora. Fondato nel 1232, è stato abitato dalle "beghine" fino agli anni '80 del '900, leggiamo, anche se dal 1962 è divenuto proprietà dell'Università di Lovanio che lo ha restaurato e trasformato in un recinto residenziale per studenti, professori, visitatori internazionali e collaboratori universitari. Non è chiaro se questa bizzarra convivenza sia frutto di una traduzione bislacca delle informazioni turistiche o di una reale coabitazione.
Le beghine erano donne appartenenti ad associazioni religiose esterne ed estranee alla struttura gerarchica della Chiesa cattolica: erano vedove o non sposate, e vivevano secondo regole simili a quelle monastiche, ma senza prendere i voti. Si dedicavano alla preghiera e alle opere di bene, come la cura e il sostentamento di poveri e mendicanti. Comparse nel XII secolo proprio qui, nelle Fiandre, si diffusero soprattutto in Germania e in Francia, poiché in Italia la Chiesa romana preferiva che la religiosità femminile si incanalasse nelle forme monastiche tradizionali.
Le beghine, neanche a dirlo, caddero presto in sospetto di eresia, a causa della loro interpretazione letterale delle Sacre Scritture. O forse perché non veniva visto di buon occhio il fatto che non pronunciassero i voti. O più semplicemente, dico io, in quanto comunità femminile autonoma e non conforme.
Fatto sta che i beghinaggi nelle Fiandre divennero tantissimi e si svilupparono come vere e proprie "città nella città", con edifici propri, adibiti alle diverse attività.
Ci muoviamo tra di essi prima in bici, poi a piedi, per non fare troppo rumore e perché l'acciottolato mette a dura prova le mani sul manubrio.
Le attuali costruzioni in mattone sono attribuite al '600; nel secolo successivo la comunità raggiunse il suo massimo sviluppo, arrivando a ospitare 300 donne.
Provo a immaginarle, affaccendate, ma c'è una pace così assoluta, imperturbata, che non riesco a raffigurarmele in altro modo che come esili figurine simili a ombre, intente a imporsi il silenzio l'una all'altra con il dito sulle labbra.
Ci lasciamo alle spalle Lovanio, seguendo il canale e più avanti il corso del fiume Dyle. Le rondini volano basse su un campo di grano, sfiorando veloci le spighe e le nostre teste. Tutto - i colori, le forme naturali, il loro riflesso nell'acqua - tutto concorre alla festa del paesaggio e alla gioia di chi lo percorre.
La sera arriviamo troppo stanchi per visitare Mechelen, la vedremo domani: raggiungiamo il nostro albergo, doccia, supermercato più vicino e degustazione casalinga di birre belghe.