mercoledì 22 aprile 2015

Pomposa. Verso Est

di Giulia Cocchella

Quando si tratta di scegliere, si lascia sempre una via per un'altra. Ogni volta stupisco di come viaggiare in bicicletta assomigli così tanto a muoversi nella vita, soltanto ad una scala diversa, parallela: quella del portarsi nel paesaggio, di rinunciare ad un panorama piuttosto che a un altro, di preferire salite o discese per poi accorgersi che non si può che amarle entrambe.
Così rinuncio alla ciclovia Destra Po – novantatré chilometri in un pomeriggio scarso sono troppi per me – e faccio salire la bici piegata sul trenino che da Ferrara porta a Codigoro. 
Fa caldo anche in maglietta, i vetri sono appannati e quando partiamo, con una lentezza degna di un treno di altre epoche, potrei illudermi di essere caduta in una tana del tempo.
Da Codigoro a Pomposa è davvero una passeggiata e domani sarà più agevole raggiungere Comacchio.



Svuoto la borsa della bici al b&b e vado a visitare l'Abbazia.
Ci sono spettacoli architettonici che si integrano a meraviglia nella più vasta e antica architettura del paesaggio. Lo fanno così bene che scoprono l'antico segreto della costruzione, quel lontano legame che deve esserci tra gli alberi e le colonne, tra le caverne e le cripte, tra i soffitti a volte e la volta del cielo.


L'Abbazia di Pomposa è così, perfettamente inserita nel panorama circostante, con la sua torre campanaria, faro dei campi, che si alleggerisce mano a mano che sale – conto quattro ordini di monofore, poi bifore, trifore, fino alle quadrifore in alto. Così si propagava meglio il suono delle campane.


Qui Guido d'Arezzo, monaco benedettino, su quella che un tempo era l'Insula Pomposiana, un'isola boscosa circondata da due rami del fiume e protetta dal mare, trovò l'idea della moderna notazione musicale: sette note. Da quel momento si prese a scrivere la musica con un nuovo alfabeto.


All'esterno i bacili di ceramica riverberano il sole, catturano il vento e lo sguardo.
Dentro, lo spazio è sotto l'incanto della pittura a fresco, opera di maestranze bolognesi che da Giotto impararono a dipingere vere le pieghe delle vesti, a ombreggiare i volti, a inserire nelle composizioni linee di forza che danno ad angeli, apostoli e bestie apocalittiche un movimento eterno.
Esco frastornata di meraviglia.


Attorno all'Abbazia c'è un parco e poco distante l'Ufficio del Turismo dove apprendo che il Bosco della Mesola, che vorrei visitare adesso, è aperto solo in alcuni giorni della settimana, non oggi.
Allora decido di non decidere, imbocco una ciclabile a caso tra le tante che si snodano tra i campi e inizio a pedalare.


Alla mia sinistra scorre una via d'acqua e io percorro quella di terra, come avessi le ruote in un binario. Da un albero che non riesco a riconoscere piovono come piccole gocce di pioggia.



Una nutria si affaccia dall'acqua, poi le ombre si allungano e ritorno indietro.









2 commenti:

  1. Questa storia che un monaco si è svegliato un bel giorno (o forse era un brutto giorno, pioveva, quel giorno?) e ha deciso che le note musicali dovessero essere proprio sette e chiamarsi proprio in quel modo lì.......

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