lunedì 4 settembre 2017

La ciclabile della Val Venosta. Malles - Merano

di Giulia Cocchella


Il trenino che da Merano porta a Malles parte la mattina presto. La corsa delle 8.18 è l'unica utile per il trasporto bici, così arrivo a destinazione con il sole ancora basso sull'orizzonte e l'aria così frizzante che indosso tutte le maglie che ho.
La Ciclabile della Val Venosta, Malles - Merano, si presenta da subito con un panorama vasto, disteso. Sono 65 chilometri di pianura, quando la strada non è addirittura in discesa, e l'orizzonte cambia dietro ogni curva, richiede una foto. 


Glorenza appare con le sue mura e le sue torri dopo poca strada. 



Difficile immaginare come questa piccola città, sorvegliata a vista dai girasoli e protetta dai monti, avesse bisogno in passato di una cinta muraria e di torri merlate a difesa. Così restano le barricate, in assenza di nemici: dormono.


La strada segue il corso dell'Adige, si piega, si infila tra gli alberi, ritorna nel sole. 
Più avanti compare un lago, dove una panchina meditativa invita a sedersi o soltanto a guardare.




Filari di mele ovunque, dove gli alberi crescono ordinati, stretti e lunghi come rampicanti.
A intervalli regolari, ad aprire la marcia immobile degli alberi in fila, c'è una rosa o un girasole.





Il panorama varia e non annoia mai, a un tratto spuntano le conifere e un laghetto artificiale attorno al quale è stato costruito un ristoro per ciclisti. Mi fermo per un cappuccino, anche se è ora di pranzo, per riscaldarmi un po'.

 


Più avanti, lungo la ciclabile, un chioschetto incustodito vende succo di mela ai ciclisti di passaggio; è possibile anche acquistare una mela per 30 centesimi, o un barattolo di marmellata da portare a casa. E ciò che fa di questo luogo un monumento alla fiducia e alla buona fede è che non ci sono venditori: si lascia il dovuto in una cassetta di ferro con su scritto "cassa". 



Le montagne innevate segnano l'orizzonte più lontano. Sopra è il regno delle nuvole. 
Sono così immersa, attraversata, compresa dal panorama che mi circonda da non pensare quasi a nulla. Ogni tanto si affacciano ricordi, pensieri di ciò che potrebbe accadere in questo periodo di prossimi cambiamenti, pensieri attorno alla scrittura, ma è solo un attimo. Ancora non lo so, ma qualche ora più tardi, nella bella libreria del centro di Merano, Livia mi dirà al telefono: meglio che le cose si muovano, piuttosto che restino ferme. E quelle parole consuoneranno naturalmente con i panorami di cui sto facendo scorta. 
Movimenti lenti, della terra. 
Movimento verso l'alto di tutto ciò che è verde. 
Frullo d'ali, movimento nell'aria. 
Acqua che scorre, o evapora piano a formare nuvole volanti. 
Mi muovo io, sto nel movimento.




Sembra che siamo fatti per camminare, non per stare fermi, è scritto nell'architettura del nostro corpo. Il baricentro non è perfettamente al centro, è spostato in avanti. Ci porta a mettere un piede oltre la linea, a slanciare il passo più avanti rispetto all'asse che ci attraversa. E poi ancora uno, un altro ancora. L'equilibrio si realizza nello spostamento, si ricostruisce, si rompe, si riacquista. Proprio come accade in bicicletta, proprio come diceva Einstein.



Verso la fine del percorso, vedo i carri agricoli volare. Non è la stanchezza, è il delizioso allestimento di un piccolo museo all'aperto. Apprendo che quelle sopra la mia testa sono una macchina voltafieno, una falciatrice e un andanatore, cioè un attrezzo che trainato da una coppia di animali organizzava il fieno in filari areati. Scheletri di ferro della prima metà del '900, quando la Val Venosta era il granaio del Sud-Tirolo, sembrano riprendere vita in volo, mulinando le loro ruote in aria, falciando brezze e rivoltando nuvole...


- Proprio come dicevo io, appunto! In un sistema centrato sulle nuvole, sono i carri agricoli a muoversi nel cielo! -
- Chi...? -
- Albert Einstein, piacere! - 
- Il piacere è mio! Che coincidenza... pensavo a lei proprio poco fa... - 
- Oh, non scherziamo! Non esistono coincidenze. Che Dio giochi ai dadi... è qualcosa a cui non posso credere nemmeno per un attimo! - 
- Lei ha ragione... ovviamente ha ragione. Sono un po' in imbarazzo, le confesso... Io... la sua teoria... non sono mai riuscita a capirla. Posso dire a mia discolpa che non ho mai avuto un insegnante di fisica serio, ma... niente, mai capito un tubo. Mi perdoni... - 
- Oh, si rilassi! Un normale adulto non si preoccupa dei problemi dello spaziotempo, tutte le considerazioni in merito alla questione sono già state fatte nella prima infanzia - 
- Dice sul serio? Nella prima infanzia? -
- Certamente. Bel colore, la sua bicicletta! La mia è un ferro vecchio ormai, ma senta qui! - (fa suonare il campanello e ride, il vento gli tira indietro i capelli bianchi)
- Anche a lei... piace andare in bicicletta? - 
- Oh... un tempo, a dire il vero. Adesso preferisco camminare - 
- Un tempo... - 
- Il tempo poi è solo un mezzo in cui ci muoviamo, è l'agente del cambiamento! - (fa suonare il campanello a festa)
- Mi scuso di nuovo... non riesco proprio a capire - 
- La prenda così, come un sollievo. Le cose non accadono tutte insieme, ma un po' per volta. Siamo immensamente fortunati! - 
(Ride. E a un tratto va così veloce che sparisce persino dalla mia memoria)










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