Quando i passeri si sono mangiati
le briciole, quando i sassolini bianchi che dovevano riflettere la luce della
luna sono inutili perché non c’è luna, in qualunque favola vi troviate, l’unica
speranza che vi resta è quella di fare un buon incontro.
Mirco sta parlando al telefono,
quando accosta il furgone a pochi metri da noi. Io penso: si è fermato perché
sta parlando al telefono. Valeria pensa: si è fermato, siamo salve! Glielo
leggo negli occhi quando mi guarda, un attimo prima di scodinzolare verso il finestrino
del furgone. Il finestrino si abbassa, Mirco posa il telefono e chiede: dove
andate?
Qualche secondo dopo stiamo
caricando le bici sul suo furgone, così felici, e grate, e piene di sorpresa
che ci viene solo da ridere.
Mirco abita poco oltre San Polo, e
non solo queste colline sono come le stanze di casa sua, ma conosce personalmente
la signora che gestisce il b&b dove siamo dirette.
Chiacchieriamo del nostro viaggio
e del suo lavoro, mentre il furgone si inerpica lungo una salita che mai
saremmo riuscite a fare da sole, a quest’ora, poi.
Stasera stavo valutando di andare
a buttarmi giù dalla Pietra di Bismantova, dice scherzando Mirco, dopo averci
raccontato la sua giornata nera, poi ho incontrato voi due. Ride. Ridiamo anche
noi, mentre fuori scorrono le colline, sfumano l’una nell’altra come onde
lunghe.
Si dice che chi nasce sul mare non può allontanarsi di molto dalla costa,
non può realmente vivere altrove. Io di fronte a questo mare immobile, fatto di
onde verdi, quasi nere adesso che il sole sta toccando l’orizzonte, io davanti
a questo moto ondoso collinare, davanti a questa terra che pure si muove perché
siamo noi a spostarci, io sento che potrei dimenticarmi la malinconia. Sentirmi
a casa anche qui, senza aria salmastra.
(foto di Valeria Pistarino)
Votigno ci accoglie senza un
volto alla finestra, senza un rumore. Ci sono statue del Buddha davanti agli
usci delle case e aforismi e citazioni scolpite nella pietra e fissate tra i
mattoni di muri e pareti. C’è qualcosa nell’aria che si respira, che induce a
parlare sottovoce.
Giriamo piano tra le case, percorriamo la piccola piazza e facciamo fotografie, nelle quali non rimarrà quasi nulla di questa particolare congiunzione terrena di condizioni perfette – luce radente, aria fresca, profumo di fiori, concerto per vento solo.
Giriamo piano tra le case, percorriamo la piccola piazza e facciamo fotografie, nelle quali non rimarrà quasi nulla di questa particolare congiunzione terrena di condizioni perfette – luce radente, aria fresca, profumo di fiori, concerto per vento solo.
Se fossi ancora capace di
pregare, questo sarebbe un buon posto.
Ormai è deciso che si cena
insieme, le due cicliste perdute e il nostro salvatore!
Al b&b Le Pietre di Canossa,
Marina apre la cucina solo per noi, che siamo le uniche persone al tavolo,
oltre a lei e suo marito. Ci porta ogni genere di prelibatezze locali: tigelle,
gnocco fritto, confetture fatte da lei, con mirtilli, mele e caffè, carote, poi
formaggi assortiti tra i quali svetta, re di queste terre, il Parmigiano
condito a festa con l’aceto balsamico.
Ci prende quell’ebbrezza da buon cibo che fa chiacchierare a lungo e senza fatica, degli argomenti più diversi. Anche il vino è buono e a un certo punto, non so più dire chiacchierando di che cosa, esce fuori la parola morbidezza. La pronuncia Mirco. Forse a proposito del buddismo. Fatto sta che io di questa parola non mi libero fino a notte fonda, mi gira nella testa come un criceto impazzito, si sviluppa verso l’alto, disegna ghirigori tra le mie sinapsi. E non è solo il vino: mi succede, con le parole.
Ci prende quell’ebbrezza da buon cibo che fa chiacchierare a lungo e senza fatica, degli argomenti più diversi. Anche il vino è buono e a un certo punto, non so più dire chiacchierando di che cosa, esce fuori la parola morbidezza. La pronuncia Mirco. Forse a proposito del buddismo. Fatto sta che io di questa parola non mi libero fino a notte fonda, mi gira nella testa come un criceto impazzito, si sviluppa verso l’alto, disegna ghirigori tra le mie sinapsi. E non è solo il vino: mi succede, con le parole.
Anche quando ci salutiamo –
morbidezza morbidezza morbidezza – e ci diciamo grazie, che è stato bello
incontrarsi e lo è stato davvero – morbidezza – anche quando mi sono lavata i
denti e siamo sotto le coperte e io dico a Valeria, ridendo, certo che ci è
andata bene e poi, che bella giornata, e poi buonanotte.
Anche dopo tutto questo, nel
silenzio perfetto della notte, la morbidezza si insinua nel mio sonno.
Sogno di aderire a ciò che accade
senza opporre spigoli, morbidezza, sogno di cambiare direzione per un consiglio
ricevuto per caso, su un treno. Essere morbidi è questo, penso, sogno, essere
disposti a perdersi col sorriso.
L’indomani l’aria è fresca e il
sole incerto, però non piove. Anzi questo tempo strano, variabile, ci regala
nuvole sontuose lungo la strada, nuvole che si incagliano nelle torri, nei
ruderi dei castelli, che si insinuano negli sfondi delle nostre foto.
Il Castello di Canossa è così
bene arroccato sulla sua collina che da lontano sembra una pietra nuda, poi ci
avviciniamo e compaiono i segni del lavoro dell’uomo: finestre, aperture,
pareti, costruite e distrutte e ricostruite ancora.
Ci addentriamo tra i ruderi, poi
guardiamo il panorama che da quassù è davvero incredibile: i calanchi qui
sotto, poi colline a perdita d’occhio e ancora qual mare immobile di ieri sera,
adesso di un verde più chiaro.
Concludiamo che Matilde la sapeva
lunga. Erano suoi non solo questo castello, ma praticamente ogni altra fortificazione
presente o scomparsa che si possa attestare in questi luoghi.
Ci dirigiamo al Castello di
Rossena, ma è chiuso e dobbiamo accontentarci di sbirciare dal cancello.
Quando torniamo alle bici, tre
cagnolini ci vengono incontro scodinzolanti e festosi. Questo è un viaggio all’insegna
degli incontri inaspettati, penso, mentre coccoliamo i cuccioli e loro noi, e
poi loro di nuovo, e noi anche, che se fosse un fumetto sarebbe una nuvola di
musetti e sorrisi e codini e carezze.
Ci rimettiamo in sella dopo
questa sessione di coccole e affrontiamo la discesa.
Le ruote scivolano veloci lungo i
tornanti e noi le lasciamo andare, senza freni, salvo inchiodare qua e là per
qualche foto. Siccome oggi è davvero difficile perdersi, perché la strada è
sempre dritta, andiamo a cercarci la nostre dose di brivido provando ad
impaludarci in uno stagno, attratte da uno strano verso (rane?). Torniamo
indietro in tempo, solo con le suole bagnate.
La strada ci riporta a casa, inesorabile, e quando siamo a Parma ci prende un po’ di malinconia.
La strada ci riporta a casa, inesorabile, e quando siamo a Parma ci prende un po’ di malinconia.
Però saliamo sul treno giusto e
ci muoviamo nella direzione opposta a quella di tre giorni fa. Si vede che
abbiamo esaurito le nostre riserve di contrattempi, penso, si vede che un
viaggio finisce quando nostro malgrado troviamo la strada di casa. Ma il
pensiero, le orecchie, il naso, gli occhi sono ancora là, persi tra le colline.
Pisti?
Pisti?
Eh…
Dormivi?
Dormivo.
Dove siamo?
Bo…
Ricordiamoci che a Genova
dobbiamo scendere.
Sì…Tulli?
Eh…
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