di Giulia Cocchella
Pensate alla bicicletta come un contenitore. Immaginate gli elementi del telaio e la sella come posti in cui nascondere qualcosa. Sono documenti falsi e foto tessere, per fare espatriare centinaia di uomini che altrimenti saranno deportati. Aggiungete che ci troviamo in Italia, a Firenze, tra il '43 e il '44, proprio quando le leggi razziali, in vigore dal '38, diventano ancora più feroci. Sì, avete capito bene, questa storia è una storia vera: la bicicletta è verde e a pedalare è Gino Bartali.
Pensate alla bicicletta come un contenitore. Immaginate gli elementi del telaio e la sella come posti in cui nascondere qualcosa. Sono documenti falsi e foto tessere, per fare espatriare centinaia di uomini che altrimenti saranno deportati. Aggiungete che ci troviamo in Italia, a Firenze, tra il '43 e il '44, proprio quando le leggi razziali, in vigore dal '38, diventano ancora più feroci. Sì, avete capito bene, questa storia è una storia vera: la bicicletta è verde e a pedalare è Gino Bartali.
Se penso a Bartali mi
viene in mente, come a molti di noi, la celebre foto in cui
“Ginettaccio” passa la borraccia a Coppi, istantanea che diventa
icona del ciclismo elegante, della rivalità - forse più narrata che
reale - che si inchina al rispetto per la fatica, per l'uomo. Anche
Gino e Fausto diventano icone, e siccome le mezze tinte non si
addicono agli eroi, Bartali incarna il simbolo dell'Italia
democristiana, Coppi di quella comunista. Così li vuole la gente, la
stampa, l'Italia del dopoguerra. Ma la realtà è più complessa.
Ce lo racconta un bel
libro per ragazzi, scritto da Simone Dini Gandini e illustrato da
Roberto Lauciello, La bicicletta di Bartali. Pubblicato da Notes
Edizioni, si trova in libreria da pochi giorni e potete leggerlo
oppure no, è chiaro, solo che se non lo leggete vi perdete una bella
storia.
"Mettiamo che Pitagora
abbia ragione e i pianeti facciano musica. Mettiamo anche che le
ruote della bicicletta di Bartali facciano musica e che questa musica
si accordi alla perfezione con quella prodotta dai pianeti.
Mettiamo pure che a
questo connubio si aggiunga la canzone di Paolo Conte, che si
intitola per l'appunto “Bartali” e non importa un bel niente se
non è stata ancora scritta ma è bellissima e tutte le cose belle
meritano di esserci sempre. Sarebbe un bel sentire, alla faccia della
guerra."
E alla faccia della
guerra, Bartali pedalava ogni giorno, per mantenersi in allenamento
in previsione del ritorno all'attività agonistica: così diceva alla
moglie e al figlio Andrea. Pedalava da Firenze a Genova, e poi da
Firenze ad Assisi, quando i nazisti trovarono sospetti quegli
allenamenti e la prima tratta venne abbandonata perché troppo
pericolosa. Pedalava e non diceva nulla, per proteggere i suoi
familiari e perché “il bene si fa ma non si dice”. Solo molti
anni dopo, raccontò questa storia al figlio Andrea, dicendogli di
tenersela per sé, che un giorno avrebbe potuto raccontarla a sua
volta: “Verrà il momento che potrai farlo e te ne accorgerai da
solo. Io voglio essere ricordato per le mie imprese sportive e non
come un eroe di guerra. Gli eroi sono altri. Quelli che hanno patito
nelle membra, nelle menti, negli affetti. Io mi sono limitato a fare
ciò che sapevo meglio fare. Andare in bicicletta.”
"...ci sono casi in cui infrangere la legge è l'unica cosa giusta da fare", ci sono momenti in cui scegliere da che parte stare è più che schierarsi, più che vestire un'opinione. Le ruote che girano, la schiena curva che sembra una collina, Gino Bartali ci da l'immagine energica, fisica, della speranza.
Grazie Giulia, per la magnifica recensione!!!
RispondiEliminaContenta!
EliminaUn altro bel lavoro, bravi!