di Giulia Cocchella
A darmi il buongiorno questa mattina
sono le ranocchie.
Appena lasciata alle mie spalle l'Abbazia di
Pomposa in direzione Volano, nel silenzio intatto sento
avvicinarsi un brusio, poi il groviglio di versi è sempre più
fitto, finché una voce fuori dal coro mi chiarisce tutto: uno
stagno. Mi avvicino e le ranocchie, che fino a un attimo prima non
si distinguevano, saltano ovunque a pelo d'acqua.
La ciclabile che porta a Comacchio è
la FE 30, è segnalata con la stessa dignità di una provinciale e
l'abbondanza di cartelli rassicura sempre sul percorso. In direzione
Lido di Volano, si inoltra in un bosco.
Sarà che sono sola - si intravede
soltanto la figura di un uomo là infondo, che sembra uscito dal
pennello di un paesaggista romantico - sarà che i pini marittimi
chiudono le chiome sopra la mia testa e il bosco ha una sua propria
voce, fatta di schiocchi, di richiami e ronzii, ma ho la sensazione
che il mio passaggio sia sorvegliato. Come se gli animali che sono
venuta a vedere, siano loro a guardare me, a studiarmi di nascosto.
Sento un rumore secco e ritmato, alzo
lo sguardo: un picchio rosso. Si fa appena vedere, poi scompare
lasciandomi un' impressione di rosso, di bianco e di nero.
Proseguo pedalando piano, col naso
verso l'alto e le orecchie attente. Ad ogni piccolo rumore mi volto,
ma nell'aria volano immobili i moscerini. Un altro schiocco, fermo la
bici, ma il bosco ricompone le sue fronde e torna silenzioso.
In prossimità del Lido di Volano, in
lontananza vedo la sagoma di quello che sulle prime mi sembra un cane
che scodinzola. Mi avvicino lentamente. Le sagome sono due. Sono
daini, usciti dal bosco per brucare vicino al sentiero. Ci guardiamo
per qualche secondo, fermi io e loro. Poi con un balzo perfetto,
nervoso, selvatico, mi attraversano la strada e spariscono tra gli
alberi.
Pedalo ancora per un tratto con il
rumore dei loro zoccoli alla mia destra, terra battuta, battito di cuore che si allontana e poi
svanisce. La loro paura mi sfiora. Allora cerco di fare più lieve la mia ruota sulla strada, più piccolo il mio passaggio qui, su questa terra che condividiamo.
Poi la strada all'improvviso si apre sul
mare.
I Lidi sono un panorama strano per chi
è abituato al Mar Ligure. Quasi privi d'onda, l'acqua bianca,
ricordano piuttosto un paesaggio lagunare.
La ciclabile prosegue
appena dietro la spiaggia, ma a destra compaiono inaspettati i campi.
Pedalo su questo confine difficile da credere, che unisce terra e
sabbia, che batte l'onda sul campo, che scontra acqua dolce e salata:
sotto le ruote, tra l'erba, macino conchiglie.
A Porto Garibaldi un cormorano asciuga
le sue ali al sole per poter riprendere il volo.
Comacchio si annuncia colorata, con le
prime facciate dipinte e un laghetto appena fuori dal centro coi
cavalieri d'Italia come da noi i passeri. Ci sono canali, ponticelli,
vecchie imbarcazioni che ospitano ristoranti galleggianti e persone
che salutano, che parlano, che consigliano. Non ci impiego poi molto
a trovare un posto per stasera. E subito riparto per fare il giro
della Valle Fattibello, antistante la città.
È qui che vedo i casoni, le case
sull'acqua dei pescatori. Ma non so quasi nulla di questi villaggi galleggianti, lo imparerò
domani.
La sorpresa più grande che mi riserva
questo circuito ad anello attorno alla Valle sono i fenicotteri.
Non ne vedo uno, non due o tre. Sono
tantissimi e chiacchierano incessantemente. Qualcuno dispiega le ali:
bianco, rosa, nero. La maggior parte sta con le testa sott'acqua a
cercare cibo. Così lo spettacolo è quello di decine e decine di
nuvole di piuma, sorrette da zampe lunghissime, che si specchiano
nell'acqua bassa e la tingono di rosa. Mi fanno sorridere.
Alla Stazione Pesca Foce ci sono anche
aironi e garzette, che imparo a distinguere dal colore del becco e dalle piume sul capo. Gli aironi sono più schivi, almeno quelli che incontro io; garzette e svassi si lasciano fotografare.
Arrivo al Lido Estensi e cerco invano
di raggiungere Porto Garibaldi per chiudere il mio giro. Deve
prendere il traghetto, mi dice sorridendo una coppia in bici. Il
traghetto è un ponte mobile che fa tutto il giorno la spola da una
parte all'altra del canale. Il viaggio dura qualche secondo, sul
volto del conducente c'è tutta la noia di quell'eterna manovra che
si ripete, che basterebbe un ponte in muratura a risparmiargli.
La sera chiudo gli occhi e faccio sogni
di piuma, di case sull'acqua, di erba e conchiglie.
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