giovedì 8 luglio 2021

Badoere - Oderzo. Passando per la Casa delle Fate

di Giulia Cocchella

La ciclabile dell'ex ferrovia Treviso-Ostiglia diventa sterrata, passando in provincia di Treviso. Attraversiamo il parco del Sile, facendo qualche deviazione nella zona umida di risorgiva. Qui incontriamo un bosco ipnotico: i tronchi degli alberi sembrano l'opera di un soffiatore di vetro e l'aria, imbevuta d'acqua e di luce in proporzioni speciali, restituisce colori di acquerello, di paesaggio in bottiglia.


Questa è terra di paludi e mulini. Ci concediamo qualche altra deviazione, più o meno volontaria (ogni stradina che si allontana da quella principale disegna un lombrico sulla traccia gps: quanti, a fine viaggio!) alla ricerca di qualche mulino visitabile, ma dobbiamo accontentarci di vederne uno da fuori.


Una coppia di cicogne ha costruito il nido su un traliccio: dai rametti spuntano i becchi dei cicognini.


Poco prima di entrare in città, ci fermiamo a gonfiare le gomme in un'area attrezzata per la manutenzione delle biciclette, idea che si rivelerà pessima da lì a poche ore: gomma a terra per la terza volta per Fede! Questo ci insegna (che poi lo sapevamo, ma non ci abbiamo pensato) che mai bisogna gonfiare una gomma rattoppata il giorno prima. 



Treviso ci accoglie sotto i suoi portici, mentre piove.


Legate le bici dietro Piazza dei Signori, giriamo a piedi in questa città deliziosa, dai confini ondeggianti. Tutto si riflette, tremola, scorre e suona di casa come un acquaio, di stoviglia.



Pranziamo a tramezzini, una vera specialità da queste parti. Mi ripropongo di provare a farli una volta tornati, magari anche le sfogliatine, mi dico, che qui sono grandi come tegole. Per essere ben sicuri di poter replicare la ricetta, siamo costretti a svariate degustazioni...


Passiamo accanto a una chiesetta che sembra sorgere su un'isola in mezzo a uno stagno lussureggiante, regno di germani reali e folaghe.



Oltrepassato il sacrario militare di Fagarè della Battaglia, ci prepariamo a percorrere il ponte sul Piave.
Vicino a Ponte di Piave c'è la "casetta rosa" di Goffredo Parise, la "Casa delle Fate", come la chiama lui stesso in uno dei suoi racconti. L'ultima piena l'ha quasi sommersa, ma le notizie che trovo non chiariscono se sia attualmente visitabile oppure no. Poiché ci costa una piccola deviazione, decidiamo di provare. 
Goffredo Parise fu subito affascinato da questa casa e sembra che abbia detto a un amico che l'avrebbe acquistata immediatamente, se il prezzo fosse stato modesto. La comprò in effetti per una somma ragionevole nel 1970 e ci abitò fino al 1982, riuscendo nel frattempo a perdere la testa per una donna e a scrivere uno dei suoi capolavori, "I sillabari".


Troviamo il cancello di ingresso grazie alle indicazioni di una signora molto anziana, con gli occhi chiari, incontrata in mezzo a una grande aia poco distante. 
"La casa dello scrittore?" Parla di lui come se abitasse ancora lì. "Dovete tornare indietro e prendere una piccola via sterrata sulla sinistra". Sorride e fa ciao con la mano. Non mi stupirei se ci affidasse i suoi saluti. 
Così, nel tempo che occorre per trovare la strada, immagino una sera di pioggia di quaranta, cinquanta anni fa. Parise bussa alla porta dei suoi vicini per invitarsi a cena, cosa che sembra fosse per lui un'abitudine. Gli capita di essere di pessimo umore, a volte, o al contrario un piacevolissimo conversatore: nessuno può saperlo in anticipo, nemmeno lui. Quella sera che la pioggia gli bagna le spalle e i piedi (anche la terra spaccata dell'argine se la beve), che il cielo precipita a pezzi nel Piave (è tanto vicino che crede di sentirne il rumore), quella sera è così fradicia d'acqua che quasi gli viene da ridere. Bussa alla porta della casa vicina, quella con l'aia davanti che pare una piazza. Gli apre una donna di una trentina d'anni, con gli occhi chiari. Due bambini corrono alla porta per vedere chi è. Impareranno a chiamarlo "lo scrittore", perché quello fa: scrive. A volte si regge la faccia con la mano, come se potesse cadergli sul tavolo da un momento all'altro, così i bambini riconoscono in lui la noia e sanno di potersi fidare. A volte gli dicono di fermarsi ancora un po', solo cinque minuti, che vuol dire facciamo durare questo tempo per sempre. Quelli sono i momenti in cui più somiglia a loro, e loro a lui.
Quando si è fatto tardi davvero, la donna con gli occhi chiari gli sorride, fa ciao con la mano e chiude la porta lasciando fuori l'aia, la notte e lo scrittore.


Mi sembra di stare nella pancia del fiume ad abitare qui, diceva Parise.
Porta e finestre sono chiuse, perciò giriamo in punta di piedi nel giardino.




L'atmosfera è densa di pioggia appesa. La terra è piena di solchi, a completo capriccio del fiume. 
Una gabbia bianca, agganciata a un ramo, delimita inutilmente una porzione d'aria. Facile credere alle fate, in queste terre di confine tra elementi, in questi luoghi sempre sul punto di finire sommersi. 





Arriviamo a Oderzo, dove abbiamo stabilito di fermarci a dormire dopo la tappa di oggi.
Questa sera abbiamo a disposizione fornelli e pentole, perciò cuciniamo e apparecchiamo di fuori, su un tavolino vista vigneti. Il cielo diventa scuro e ci prepara uno spettacolo pirotecnico di fulmini.


 

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